lunedì 2 maggio 2016

Del 2 Maggio 2011 (Ce la farai mai, Erica?)

E' infatti vera felicità riconoscersi degni di essere felici


Long Island, 2010


Ho scritto e poi per sbaglio ho toccato due tasti che han cancellato ogni pensiero, ogni immagine a forma di frase e la possibilità di rimediare alla mia consueta sbadataggine. Ho scritto ancora, cambiando le parole, un po' per scaramanzia, un po' perché le parole non si fanno usare due volte; soffrirebbero quanto ne soffre chi abusa di loro e le maltratta, ma mi è andata male nuovamente. E' per questo che ho deciso di ricominciare a farlo per la terza volta, perché significa che oggi è un giorno buono per sforzare l'anima ed i pensieri a non lasciarsi andare alla pigrizia.

Ascoltavamo Tom Petty insieme, la tua macchina era entrata da poco nel reticolo di quelle strade spaventosamente familiari, eppure mai viste prima se non miliardi di volte in televisione, distrattamente, pensando solo a volte, di volerle vedere  "un giorno chissà, un giorno magari". Ascoltavamo anche Neil Young, Bob Dylan e Billy Joel. Tu raccontavi menzogne premurose mentre io facevo in modo di crederci per entrambi, convinta che sarei bastata per non sgretolare quel sogno che mi cucivo addosso ogni mattina e che rammendavo ogni notte, convinta che i miei sentimenti ed i miei propositi sarebbero bastati a far sopravvivere, o forse nascere, un sogno che non era utopia o possibilità, ma semplicemente illusione. Poi non ho più ascoltato molto, perché quando la musica diventa l'unico linguaggio che sei capace di interpretare e gestire, ogni singolo verso è un taglio profondo inflitto dalla distrazione e la distrazione fa male come il sangue che non sei preparato a vedere.

Leggevo allora e leggo ancora però, perché senza musica riesco ad affrontare meglio alcuni aspetti della nuova "me", con i quali mi rapporto in un modo che è in bilico tra l'incredulo ed il paradossale. Attraverso le parole posso liberarmi di alcuni degli spettri che mi si annidano tra gola e petto, imponendomi un soffocamento continuo al quale non mi so rassegnare.

Sono amareggiata.
Lo sono nel profondo, lo sono nelle illusioni che non sbocciano, nei sogni che non prendono forma, nelle aspettative che non fanno che tentennare desiderose che qualcosa migliori. Vivo un'amarezza che solo una terapia, una cura, un medico potrebbero addolcire, ma non è ancora il tempo dei festeggiamenti, non è nemmeno il tempo del sollievo e tanto meno quello della quiete, la quiete dopo l'inferno, perché non sono le tempeste a spaventare qui dentro, tra queste mura di cemento e cuori protetti da strati spessi di disincanto, ma è il male senza nome, quello che toglie il sonno e mangia la vita con mani sporche e bocche ingorde.

Sono stanca, stanca dell'impoverimento della mia testa sempre più pigra, delle pretese della mia interiorità, della profondità delle mie esigenze, della mia impossibilità ad accontentarmi di qualcosa di comodo.

Sono stanca, stanca di chi pensa che sia una stronza cui "ben le sta quel che vive" ( ndE... a buon rendere...), di chi crede che non stia succedendo niente in me solo perché non mi piango addosso e non condivido più la cronaca di dettagli che mi lacererebbero.

Sono stanca di avere a che fare con chi ha la pretesa di spiegarmi chi sto diventando. Sono stanca di chi si illude di conoscermi e di comprendermi, sono stanca di chi pensa che non ci sia più nulla da scoprire. Sono stanca di incassare i colpi con una maestria che avrei preferito non avere. Sono stanca di chi si scarica la coscienza ponendo domande che sono solo squallidi convenevoli. Sono stanca della diplomazia che mi ritrovo sempre tra le mani non appena una maledizione sboccia a fil di labbra.

Sono silenziosa, sono tanto malinconica quanto malconcia, sono delusa. Sono nauseata dalla pochezza e sono infastidita dal grottesco che vedo vivere attorno a me. Sono innervosita da chi si spreca e si accontenta, sono intollerante verso chi confonde i sentimenti con le sensazioni.

Ma sono anche altro.

Sono lucida nelle mie decisioni, sono di conforto e di aiuto quando chi amo ha bisogno di me, sono ironica e sarcastica, sono incallita nella mia voglia di andare avanti. Sono convinta che tutto quel che sta accadendo sia parte di un progetto più grande, un progetto non divino, ma semplicemente formativo, perché non posso che migliorare come essere vivente, come donna, come figlia e come Erica.
Sono anche felice perché non sono più tutto quel che ero e che detestavo essere. Sono felice e mi riconosco degna di ogni più piccola felicità che arriverà e ogni singola felicità che saprò conquistarmi. Avanti così, avanti a porgere il bisturi quando c'è da recidere un canchero tanto del corpo quanto dell'anima.

Ho Pipola, ho l'hennè per fertilizzare il cervello, ho la musica, ho biscotti e non sono sola.
Non mi serve molto altro.

Magari una moto, magari uno zainetto pieno di soldi, magari il biglietto per il viaggio che sogno di fare presto, da sola.

Magari un uomo, ma non un maschio inutile, usato da femmine da poco, un uomo con tanta vita e tante storie da raccontare, un uomo che non abbia paura del proprio passato, un uomo che sappia vivere il presente. Qualcuno per cui valga la pena ricominciare a parlare d'Amore, o forse farlo per la prima vera volta nella vita: quella buona chissà, quella buona magari.



Nota del 2 Maggio 2016.


Io del passato non ho mai parlato solo e soltanto per delicatezza, perché i paragoni feriscono, i confronti mortificano, condividere qualcuno quando non si è pronti per farlo, fa solo e soltanto del male. 
Male superfluo, inutile, cinico, prepotente. 

 E' che trovando TE, non un roadie incontrato per sbaglio, io credevo di avere nella vita, per il resto della vita, un compagno scelto, voluto e desiderato.

Io sentivo di aver trovato me stessa, di aver realizzato il mio Sogno più puro.

Che cogliona, eh?


Erica, 2010

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