martedì 24 gennaio 2017

Dell'insonnia che diventa mia alleata

Mi sveglio presto, anche prima delle cinque e lo faccio - involontariamente - da tempo ormai. Al mio corpo non interessa che sia un giorno di lavoro oppure un giorno di festa, se pretende che io mi svegli, non posso fare nient'altro che accondiscendere e rassegnarmi. Non che sia una modalità che io sappia accettare di buon grado, ma cerco almeno di non soffrire fino a rasentare la pena, perchè non avrebbe senso consentire qualsiasi forma di accanimento, anche quella della mancanza di sonno sufficiente.



Ci sono i pensieri che mi rosicchiano l'anima quasi fossi tarlata. Ci sono preoccupazioni che sembrano ingigantirsi a dismisura e alcune volte mi soffocano, altre volte mi sfiniscono, altre volte arrivano e se ne vanno distrattamente. Poi ci sono anche le aspettative che mi rendono trepidante e che vorrei già poter stringere tra le mani.
Infine ci sono le mancanze, quelle oggettive e fisiologiche, quelle che solo la pazienza potrà ammansire e il tempo - semmai - compensare.



Domenica mattina la sveglia è stata improvvisa - e immotivata - ben prima delle cinque. Ero spaventata all'idea di trascorrere una giornata vuota, trascinandomi per casa in modo inconcludente. In fondo, si trattava pur sempre dell' unico giorno senza lavoro della settimana. Ma poi ho avuto un'intuizione, mi sono presa di coraggio e, in compagnia del mio fido bestiolino, ho deciso di sfidare il freddo e l'orario proibitivo e ho guidato fino a Colico: ho guidato fino a Casa.

Poche ore. Ore intense, rigeneranti, salvifiche.



Momenti fatti di Bloodino libero di correre sulla spiaggia, tra sassi, conchiglie e legni portati a riva dal lago. Momenti trascorsi a godere della fiducia che sono riuscita a costruire con quel cagnolino confuso, disorientato, che meno di un anno fa coglieva ogni occasione per scappare. Momenti in cui perdermi nel sole che accendeva di tepore lo specchio d'acqua che cinicamente fingeva di non essere gelido.
Momenti in cui godere della solitudine, del privilegio di non dover rendere conto a nessuno, della grazia di non dover subire più - mai più - nessuno. 



Dibò me l'ha fatta davvero grossa quando, preso dall'estasi che la libertà senza guinzaglio infonde, si è lanciato senza remore nel lago cacciando un gruppo di papere, uscendone subito dopo stranito, congelato, tremante. Un soccorso di emergenza fatto della mia sciarpa che gli frizionava il pelo, carezze per capire quanto fosse inzuppato e quanto invece congelato, un asciugacapelli a disposizione a soli 10 minuti di macchina, ringraziando chi di dovere in Cielo.



E poi l'allegria per aver trascorso insieme alcune ore in un silenzio surreale, ovattato da gelo e una spolverata di neve, tra erba che scricchiola e si spezza sotto i piedi, una manciata di croccantini golosi in tasca, un tè caldo ben riposto in un thermos e sei gradi al di sotto dello zero a pizzicarmi in viso.



I paesaggi sono sempre quelli, così come lo sono i luoghi, eppure, per ritrovare me stessa e per dare voce a quello che accartoccio e nascondo nella pancia, mi capita sempre più spesso di cercare i miei luoghi sicuri, quelli che mi confortano e mi infondono energia.  E domenica ne ho ritrovati molti. E mi sono sentita bene.


E poi un hamburger per me e uno per Bodibò, un pisolino vicini, una leggerezza al cuore che ieri mattina continuava a canticchiare leggera e spensierata, perchè ci sono forme di benessere autentiche, che sanno fare per bene il loro lavoro.





giovedì 19 gennaio 2017

Della cassettiera dell'Ikea



Dopo il lavoro, nel tardo pomeriggio di ieri, vagabondavo per l'Ikea di Carugate in queste condizioni: in tacchi, ben truccata, con il cappotto adagiato nell'incavo del braccio indolenzito e con un carrello da carico pesante che trasportava due bulbi, quattro ganci da appendere, un culetto di cagnino in plastica (anch'esso gancio) e due mini pupazzetti.

Un po' mi divertiva osservare la curiosità stranita di chi si imbatteva nel mio tentennare sbandante e mi guardava quasi chiedendosi: "Ma sta scema lo sa che ci sono i sacchi gialli?".

È che mi serviva una cassettiera, da poco, una senza pretese. La stessa cassettiera che mi sono rifiutata di comprare da Marzo dell'anno scorso, infliggendo nuova precarietà a quella in cui - già di mio - dovevo sguazzare. Perché comprarla avrebbe comportato una presa di coscienza e un'accettazione alle quali non potevo essere già pronta.

Poi, non so cosa sia successo in quell'ufficio a Monza, dopo la lezione del primo pomeriggio. Mi sono decisa, mi sono convinta, ma forse mi sono rassegnata.

E quella stessa rassegnazione l'ho portata a passeggio mentre rendevo omaggio al cuscino della palla numero 8 che avevamo sulla poltrona da barbiere, ai mobili sparsi per la camera, lo studio, il soggiorno con angolo cottura, il bagno, il ripostiglio e pure l'ingresso. Quella che credevo fosse casa era ovunque, ma non più in me. Non quanto temessi.

Ho deglutito amarezza e rancore, bestemmie e malaguri, "ma crepa" e "mammt" a profusione ad ogni bicchiere, utensile, candela, cestino e decorazione che conoscevo bene e di cui ricordavo esattamente la collocazione.

E poi ho pensato che quello che mi strazia non è che sia finita, anzi, ma come sia potuta andare mentre tutto sarebbe stato ancora possibile, se soltanto ci fossero stati decenza, rispetto, dignità, sobrietà e contegno.
Perché ci sono circostanze che non dovrebbero esistere nemmeno in letteratura.

Ma tant'è, ahimè.

Non scrivo per rognare, per parlare del Lupo Cattivo, scrivo perché davanti ad un ambiente con i mobili neri e gli accessori verdi e bianchi, uno di quelli che angosciano nella loro pretesa di sfoggiare un design a basso costo - buono a stento per un residence - ho capito che non ho nessuno accanto perché non voglio nessuno.
Perché non esiste odore che non mi dia il voltastomaco.
Perché non mi voglio accontentare di nuovo.
Perché non sceglierò per consolazione o bisogno, ma soltanto per volontà e slancio di felicità.
E poi perché sto bene, in fondo.
Ma sì, dai.

Ho una cassettiera da montare e una casa da trovare.
Ho il culo grosso e la pelle secca.
Sono ipocondriaca, stronza e isterica.
Ho così tanta roba che si accumula dentro e fuori dagli armadi e dalle scatole, che se mi incrociasse Marie Kondo farebbe harakiri con la gruccia in metallo della lavanderia, dopo essersi frustata con il guinzaglio stiloso di Bloodino.

Ho esorcizzato pure l'Ikea.
E chi mi ferma più?

giovedì 12 gennaio 2017

Dell'acido, della violenza, di una mattina di gennaio

Ho messo i calzettoni sul calorifero (quelli sexy, eh, mica quelli caldi da combattimento), ho preparato una fattura e intanto ho temporeggiato, aspettando che il freddo diventasse meno crudo e che il coraggio avesse la meglio sulla fifa che provo all'idea di uscire di casa.

Complice un bestiolino che se la ronfa sul letto, ho potuto frugare tra rassegne stampa che mettono il voltastomaco, notizie dal mondo che raggelano e fatti di cronaca che mi fanno sentire perplessa, sconsolata, avvilita e persino sconcertata, se volete.

Volti bellissimi sfregiati dall'acido, corpi cui viene dato fuoco, bambini e anziani presi a calci, sputi e pugni, giustificazioni che non stanno nè il cielo nè in terra, violenze inaudite per colpa del posto sbagliato al momento sbagliato. Eppure, in un modo o nell'altro, le donne e i deboli in genere, se la cercano sempre no?

Stava con un delinquente, cosa ti aspettavi?
Stava con un balordo, cosa ti aspettavi?
Stava da sola per strada, cosa ti aspettavi?
Stava con un alcolizzato, cosa ti aspettavi?
Stava con un negro, cosa ti aspettavi?
Stava con un violento, cosa ti aspettavi?

Io? Ah, io non ne so niente, però in un vecchio sogno - a Guantanamo - più o meno dopo la mezzanotte per almeno tre sere a settimana, guardavo un film che non avrei voluto vedere e non mi aspettavo un cazzo di niente. Se non che quella proiezione macabra avesse fine.

Ma mi verrebbe da dire, nella mia presunzione di zitella inacidita, che non è detto che sia così semplice mettere la parola fine a certi drammi, a certe persecuzioni, agli esiti che alcune forme di NON amore hanno sul corpo, sulla mente, ancora di più nella percezione di sé.

Prima di giudicare o di dare lezioni di vita, ringraziate Dio - o chi per esso - per il vostro culo al caldo, per i vostri volti sempre e solo accarezzati, per le vostre mani che non hanno motivo di tremare, per il vostro telefono che si accende per un saluto, un avviso, ma mai per tormentarvi.

Ringraziate per la vostra famiglia, che romperà anche i coglioni di tanto in tanto, ma che vi ama e non vi abbandona. Ringraziate perchè ogni giorno potete rimettere mano alla vostra vita, reinventandola, con il lusso di poter pensare a quello che mettete nel piatto, alla nuance di rossetto da spiaccicarvi in viso o stabilire in quale modo annoiarvi o lamentarvi di tutto quello che non vi va a genio.

Ma smettetela di dedicare il vostro sdegno a chi è più debole, fragile, incapace, persino paralizzato all'idea che esista la possibilità di cambiare. Siete bravi, infallibili, dei modelli indiscussi e chi dice il contrario? Ma fate pure schifo quando puntate il dito senza remore, senza vergogna, senza pietà.
Perché chi dovrebbe pagare, dovrebbe essere sempre e solo chi si macchia di crimini che meriterebbero di essere risarciti con l'interruzione immediata dell'erogazione dell'ossigeno.
E una manica di botte, ma proprio tante eh.

Pensieri così, belli leggeri, di buon mattino, con la luna storta ancora prima delle nove.
Avanti, Savoia!

E adesso - per almeno un'altra settimana - farò finta che i telegiornali non esistano.
Nice and easy.

Niente foto. Oggi no.