martedì 20 novembre 2018

Della tigre in gabbia




Una tigre incredibile.
Una tigre vera.
Una tigre in un paesino dormitorio merdoso che non è Milano e non è nemmeno Brianza.
Una tigre in gabbia a ridosso della Comasina, di fronte ad un All You Can Eat da Helicobacter fulminante, da donne in lurex di giorno e bambini da parcheggiare nelle vasche di palle di plastica colorate, aspettando che affoghino senza fare troppo rumore.
Una tigre a due passi dai camion, a due passi da frenate improvvise e clacson e autobus di linea e sirene e tubi di scappamento e curiosi stronzi che si fermano a guardare e gente a piedi che trascina carrellini improbabili, zeppi di scatole e buste quasi fosse già Natale.
Mi si è stretto il cuore imbattendomi in lei stamattina. E sta tigre mi è rimasta dentro, mi è rimasta addosso per tutto il giorno come odore di fritto di casa d'altri che ti porti appresso fino alla doccia della sera. Come uno spintone improvviso dato da un estraneo. Come un forno che ti brucia un braccio e ti fa cadere la teglia a terra sul pavimento appena spazzato.
La Milano Meda era quasi sgombra, alle otto passate la gente sta già guardando la fine dei quiz, e guidando ho pensato che se una rientra da lavoro alle nove, si merita almeno una guacamole e forse un film di quelli che non fanno pensare.
Sì, che non faccia pensare soprattutto.
Mi sono fermata al Carrefour 24/7, mentre Bloody frignava sul sedile posteriore, mentre cercavo il cellulare sul sedile passeggero a tastoni, mentre mi concentravo sull'unica cosa che avrebbe potuto farmi cenare stasera: un avocado maturo.
Poi quelle luci.
Poi quella scritta: Allegria.
Poi il voltastomaco misto a pena, a rabbia, a incredulità.
Poi ti fermi e scatti una foto.
Un reportage da social media.
Una cronaca zoppa di uno dei millemila drammi nei quali non so non sguazzare.
L'unico circo che amo è quello degli storpi, dove i fenomeni da baraccone hanno due teste, una gamba sola, mani a chela di aragosta o tre tette, un circo che esiste solo nelle foto in bianco e nero e nei film.
Poi un guinzaglio mi ha trascinata per le aiuole infangate mentre tremavo dal freddo. Poi il vecchietto del piano di sopra - che un momento ti parla come se fossi sua nipote e un momento ti chiede "ma tu chi sei?" - mi ha detto un "Buonasera, signorina" bello, ma bello forte, uno di quelli belli come li direbbe un nonno, uno zio, una canzone in musicassetta.
Poi la chiave nella serratura, aspetta che ti sgancio, dai vieni, andiamo, su!
E ho richiuso la porta blindata alle spalle. Doppia mandata. Via gli stivali, candele accese. L'avocado di traverso. La lavatrice che deve ancora finire. I panni stesi ieri da piegare.
Quella tigre mi fissa ancora, mi fissa senza nemmeno vedermi.
Nel suo contegno decoroso, nella sua dignità violata.
Meritiamo l'estinzione.
Allegria!
Boom.
Tutti rasi al suolo, a fare da parcheggio agli altri pianeti.