mercoledì 22 giugno 2016

Dei Souvenir da Las Vegas: una guida ai 10 gadget indispensabili. E pure trash.


Quali sono gli oggetti da riporre in valigia dopo un soggiorno a Las Vegas? In che modo orientarsi sugli acquisti e sui souvenir che verranno regalati a parenti e amici? Ecco la mia guida per lo shopping, oggetti selezionati meticolosamente, tra cui quello che vi ritroverete tra le mani a distanza di sei mesi dal vostro ritorno e che vi farà dire a gran voce: Ma, porca miseria, me lo sono comprato veramente?!

Poco prima della partenza mi sono ritrovata a scrivermi con la mia ex compagna di Università, nonchè cara amica, Stefania e lei - nel raccontarmi della propria esperienza a Las Vegas - mi ha accennato ad una caratteristica dei negozi in cui ci si imbatte in ogni dove - e a qualsiasi ora del giorno e della notte - in quel dell'oasi luccicosa del Deserto del Nevada, ovvero: sono tutti indistintamente rivenditori di paccottiglia.



Con il termine paccottiglia intendeva anticiparmi che mi sarei imbattuta in una serie inenarrabile di gadget a basso costo, probabilmente made in China, e marchiati in modo seriale dalla scritta "Welcome to Fabulous Las Vegas". Ecco, non avrebbe potuto ringalluzzire meglio la mia curiosità e, di pari passo, nutrire la mia smania di rendere tutto quel ciarpame mio, non appena avrei messo piede sul suolo del paese a stelle e strisce!

Da sempre sono un'amante dei gadget, ma negli ultimi due anni - diamo a Cesare quel che è di Cesare, anche se meriterebbe solo calci sui denti - questa tendenza si è trasformata in una vera passione e, conseguentemente, si è raffinata sempre più. Se avete una predilezione per i memorabilia, sappiate che a  Las Vegas sarete a casa. E se avete tendenze rockeggianti, ancor di più rock'n'roll, avrete di che riempire i vostri bagagli.

Ma veniamo alla lista degli oggetti trash e indispensabili, quelli senza i quali potreste sentirvi monchi, zoppi o anche soltanto insanabilmente infelici.


1. Souvenir da casinò.
Fiche usate, mazzi di carte sui quali non è più possibile puntare, ma anche dadi. Quali migliori amuleti per attirare quel po' di fortuna che fa sempre tanto comodo a tutti noi? Io ho preso le carte dell'Hard Rock Cafe, ma fate attenzione quando le comprerete: i jolly potrebbero essere stati rimossi!

2. Bicchierini da shot, o da liquorino. Vedete voi come chiamarli, ma i vostri digestivi saranno contenuti in bicchieri senza rivali. Io ho assemblato un set da sei pezzi, per un totale di 5.94 $. Perché certe volte sognare costa così poco che è un crimine non farlo. Nice and easy, huh?

3. Dadi di peluche
Da far penzolare dallo specchietto retrovisore ed esibire gloriosamente. Anche perché se una macchina ha l'ambizione di distinguersi da tutte le altre, non deve semplicemente essere una bomba su ruote e avere una carrozzeria da sogno o un motore ruggente, ma può anche essere la nostra amata utilitaria, customizzata con almeno un adesivo, almeno un deodorante buffo e nauseante e almeno una decorazione capace di oscillare tra l'improponibile e il redneck, il vergognoso e l'imbarazzante, ma anche tra il kitsch e la tamarrata.


4. Snowballs: palle di neve per tutte le stagioni
Perché confinare un oggetto decorativo all'espozione natalizia quando lo si può gustare durante tutto l'arco dell'anno? Le palle di neve più tipiche riportano il cartellone che dà il benvenuto all'ingresso in città oppure miniature della città stessa. Quello che ho scelto per me è una fusione tra simboli delle carte e l'insegna famigerata, piazzata in ogni dove. Mi è capitato spesso di capovolgere la mia snowball, di guardarmela e di mettermi a sorridere, perché spesso più un oggetto è privo di qualsiasi utilità, più lo ho a cuore.

5. Magliette 
Indispensabili per dar sfoggio della vostra avventura al rientro. Quella che mi sono regalata è apparentemente sobria: nera, di buona fattura, con un bel logo della città, copiosamente glitterato. Ma il bello arriva voltando le spalle, perché lungo tutta la schiena si dispiegano un bel paio d'ali. Anche il demonio era un angelo pentito, o no?


6. Magneti 
Ce ne sono di ogni tipo, dimensione, colore e prezzo.  Solitamente, la spesa supera di poco il dollaro. Quelle che ho deciso di regalare - come segno di buon auspicio - sono delle maxi fiche, chiamate Lucky Chip, che in base al colore riportano l'ammontare del valore della puntata. Per ora sono state gradite tutte quelle che ho potuto recapitare.
Per quanto riguarda gli acquisti di natura personale, me ne sono concessa qualcuna un po' più particolare, tra cui il retro del pick up (detto truck) di Toby Keith e una donnina provocante sullo sfondo di un asso di picche (che mi ha subito riportato alla mente l'Ace of Spades del compianto Lemmy).

7. Mug
Dai, non si può andare in vacanza e non riportarsi a casa una tazza, che sia da tè , da caffè, una jar, una roba termica o un contenitore adatto alle bevande fredde. Chiunque voglia essersi sentito a casa in America, dovrà portarsi a casa uno di questi ricordi fondamentali. La mia è abbastanza economica e rigorosamente appariscente, e con lei sono riuscita a coniugare una bassa spesa a qualcosa che sem-pli-ce-men-te adoro!

8. Burro Cacao
Sì, avete letto bene. Senza burro cacao sarà dura sopportare le interminabili ore di volo per e dagli USA, ma anche mentre sarete a passeggio per la Strip, la temperatura torrida farà reclamare alle vostre boccucce un po' di idratazione. Qualcuno di voi potrebbe anche mugugnare: Beh, ma io me lo porto da casa, allora.
E a ciò ribatto senza indugio: rinunciando così ai gusti Piña Colada, Vegas Cherry o Martini? E rischiando così di non essere gli artefici della felicità delle amiche più care? Tsè!



9. Portachiavi e apribottiglie
Solo apparentemente questi sono i regali dell'ultimo minuto, in realtà rappresentano un dono impersonale, presumibilmente utile, non ingombrante e dallo stile più disparato, perfetto per ogni tipo di ricevente. Io credo di essermene presa qualcuno di troppo, ma avrò modo di usarli, riciclarli o anche solo conservarli per riguardarli ogni tanto!

10. Luggage tag, etichette plastificate per bagagli
Da riservare al vostro bagaglio a mano, perché poter avere tra le grinfie una targhetta così carina, vi sara costato, probabilmente, un occhio della testa e una bella trasvolata oceanica.
Io me ne sono concessa due, perché ero indecisa sul colore, ero troppo stanca per fare qualsiasi forma di acquisto e, nel dubbio, ho scelto di aggiungere un articolo in più in cassa, pur di scongiurare qualsiasi forma di pentimento postumo.


Nota 1
Las Vegas non è a misura di animali domestici 
Un cane rischia - detto senza mezze misure - di morire se esposto alle temperature già intollerabili per noi, di asfalto, strade, ma anche di condizionatori impostati in modalità Viva La Siberia!
I negozi non sono orientati verso la vendita di prodotti per cani o gatti e tra quel poco che si trova ci sono collari dal dubbio gusto oppure semplici bandane. E io ho preso al mio Bloody questo straccetto di stoffa rossa, che, pur essendo senza infamia e senza lode, è di una tonalità vivace ed è corredato da una scritta a prova di sorriso. E prima o poi gliela farò indossare durante una bella passeggiata, magari non quando si suda da fermi, perché va bene la simpatia, ma il caldo non è uno scherzo e un colpo di calore ancora meno.


Nota 2
Addobbi fuori stagione
Prima o poi avrò di nuovo un mio albero di Natale, un bell'alberello che nessun prepotente deciderà di tenersi assieme al resto di ogni oggetto acquistato in comune. E quel Natale, esporrò questa decorazione - tanto buffa quanto adorabile - perché un Babbo che riceve un bacio da una sventola di ballerina, non potrà far altro che essere ben augurante.
E se mai non dovesse riuscire ad essere un portafortuna, so per certo, che riporterà alla mia mente un ricordo felice: quello del primo viaggio della mia nuova vita.

sabato 18 giugno 2016

Del centesimo post su Dramas and Cookies



Un momento da ricordare. Un momento in cui fermarsi, prendere fiato, guardarsi attorno e capire che cosa stia succedendo, che cosa sia già successo, che cosa non debba mai più succedere e capire in che cosa potrei impegnarmi per far succedere quello che ancora aspetto.

Un vassoietto di sushi, portato amorevolmente a casa per cena. Io il sushi lo mangio con le bacchette, ma non sono capace di usarle. Ho comperato un pupazzetto che le tiene unite per l'estremità superiore, eppure - nonostante la Lidl si sia messa d'impegno per togliermi almeno una difficoltà -risulto ancora goffa e imbranata davanti ai bei rotolini di riso gustosi e colorati. E quindi partiamo da questa inquadratura: una tavola imbandita, tre adulti intenti a cenare, un cagnetto che scodinzola e bacchette che non vogliono saperne di collaborare con la consumazione del mio pasto.

Parlo con i miei di un nuovo viaggio che mi è stato proposto, questa volta un'avventura on the road in nome di un'Amicizia che da vent'anni è parte della mia vita. Un viaggio in auto, verso Nord, un viaggio per vivere qualcosa che da sempre ci ripromettiamo, ma che le circostanze e le gabbie in cui mi sono voluta rinchiudere non hanno mai reso possibile. Un viaggio che fa parte di quel percorso di liberazione che voglio che mi conduca ad una consapevolezza di me, della quale non mi sono ancora mai saziata in tutta la vita.

Non chiedo mai pareri, non chiedo permessi, solitamente annuncio, a decisioni prese o cazzate fatte, quale sia stato il mio ultimo colpo di testa e metto un po' chi mi capita a tiro con le spalle al muro. Prepotenza? No, giuro, non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello di essere prepotente. E' che o faccio così o rimango immobile nei tentennamenti e nelle insicurezze che mi impediscono di prendere qualsiasi decisione.

Parlando a tavola ho detto al mio papà "Tu cosa ne pensi?" e lui, bonariamente come sempre, ha esordito con la frase più naturale del mondo, parole che mi hanno rifilato uno schiaffone a cinque dita in pieno volto "Ma Erica, hai quasi quarant'anni cosa vuoi che dica io?".
Minchia. 

Puttana eva. 

Ma chi?
Ma come?
Ma che cazzo?!
Quasi quarant'anni.


Ma io non li ho quasi quarant'anni, non posso averli: vi siete sbagliati. Papà, ti hanno fregato, la memoria ti fa cilecca, di sicuro hai preso un granchio. Papà, fai qualcosa, cazzo: io non posso essere ad un passo dal baratro dei q-u-a-r-a-n-t-a.

Da una frase così innocente è nato un dramma personale, perché se questo blog si chiama Dramas and Cookies è evidente che un filo di verità sia contenuta nel nome che ho deciso di attribuirgli. Ecco, allo scoccare dei cento post su questo diario, mica poi tanto segreto, alla soglia dei quaranta, forse è il momento di annotare quello che non ho, perché quando i post saranno duecento ho intenzione di giungere ad un bilancio nettamente diverso e concretamente più positivo.

Io non ho costruito una famiglia mia, ce l'ho messa tutta e ho toppato in pieno, e troppo spesso temo che sia troppo tardi per riprovarci.
Io non ho nessun essere umano da amare come si ama qualcuno che fa battere il cuore, anzi, a stento mi tollero allo specchio, figuriamoci come possa pormi nei confronti di bipedi in genere.
Io non ho un lavoro fisso e continuativo, non ho entrate solide e gratificanti, sebbene della costellazione di lavori che svolgo, non ce n'è uno che non mi appassioni.
Io non ho una casa e quindi non ho ferraglia di chiavi che aprano una serie di portoni e porte che mi conducano ad un angolo di mondo che ho saputo mettere in piedi con le mie mani.
Io non ho un progetto definito da perseguire, perché vivo in funzione del rimettermi in piedi, dell'imparare a non piangere sempre, dello sforzarmi a non lasciare che tutto vada alla deriva. E non è che abbia chissà quante energie avanzate in questo bel periodo da dimenticare.
Io non ho fiducia negli altri, ma ne ripongo solo nella mia famiglia e in una manciata di amici che mi tengo stretta a due mani, forse stringendo persino troppo.
Io non ho solidità e posso solo contare su quella che mi viene offerta senza riserve, in palmo di mano.
Io non ho ancora capito se da certe rovine se ne venga davvero fuori o se si debba fingere per sopravvivere oppure sopportare pazientemente fino a quando il tempo non avrà fatto il suo corso.
Io non so come abbia fatto a mettere nero su bianco questa lista.


Stamattina, mentre Bloodino mi portava a passeggio ho guardato i necrologi e, davanti all'edicola sulla via per Desio, ho sentito una lacrima rigarmi il viso all'idea di me sola, con nessuno al mio funerale, con nessuno che si premurasse di dire "La stronza è schiattata".
E mi sono sentita sollevata, alleggerita, confortata. Perché lo stesso pensiero io l'avevo visto al cinema, perdendomi nel destino favoloso di  Amélie Poulain. E - sebbene lei fosse drasticamente più giovane - la sua vita, all'improvviso è cambiata, complici una serie di mirabolanti avventure nelle quali ha deciso di imbattersi, ostinarsi e crederci.

Otis Redding cantava, gridava e straziava con la sua I've got dreams to remember. Ecco, io, forse sto ricominciando a ricordare i sogni che avevo, quei sogni che ho dovuto, che ho voluto scagliare via lontano perché troppo impegnativi, perché troppo grandi, perché incompatibili con le pretese di ciò in cui avevo deciso di imbattermi.

I sogni che ho maltrattato, ad uno ad uno, mi stanno perdonando e mi stanno restituendo della consapevolezza, della nostalgia buona che mi infonde desiderio di non lasciare che tutto resti incompiuto.

Ballerò sola ancora a lungo, quel voltastomaco inflitto dal genere umano non fa che incedere giorno dopo giorno, ma non è detto che intanto io non possa almeno godermi la musica, fantasticare su quel che vedo sfrecciando per la strada, nutrirmi di quell'universo di dettagli in cui i miei occhi sanno perdersi, Per continuare a raccontare, perché almeno l'amore per lo scrivere, nessuno è mai riuscito a comprometterlo.

Non è un bilancio positivo e prenderne atto è una coltellata, ma non lo stilo nella disperazione delle menzogne, ma nella consapevolezza di aver scelto di essere libera.

Milvina Drama Queen, Erica: 100 post e quasi 40 anni.
Ma col cavolo che li dimostro, dai!

giovedì 16 giugno 2016

Di Las Vegas (che mi ha resa di nuovo Viva)




Mi ero ripromessa questo: prima scrivi gli articoli, li invii al giornale e poi, semmai, ti metti di buzzo buono e ti dedichi ai ricordi legati a Las Vegas. Una ricompensa da aspettare e poi riscuotere gioiosamente? Oppure un invito senza mezze misure a non procrastinare? Per dovere di cronaca mi preme comunicare, in modo piuttosto compiaciuto, che gli impegni sono stati portati a termine, le scadenze sono state tutte rispettate e ora posso mettermi finalmente a raccontare del mio breve viaggio.
Ascolto Toby Keith, scoperto in quella che chiamavo casa fino a tre mesi fa. Lui è stato un compagno di rare notti romantiche che avevano le sembianze di un bella fiaba - rivelatasi poi il più detestabile degli incubi - ma ancor di più compagno di pulizie affannate, faccende domestiche imbronciate, stirate solitarie e azioni tanto devote quanto ripetitive, eppure piene di illusioni cretine. Illusioni accuratamente tradite con sadismo da parte di quello in cui venivano riposte, illusioni che credevo dovessero essere il più importante degli scopi della vita. Un po' come se, sistemando ossessivamente la casa, anche il resto e anche lui si sarebbero sistemati.


Ho deciso che Mr. Keith sarebbe stato la colonna sonora di questi pochi giorni oltreoceano, perché dopo tutto quello che ho dato, perso e dovuto regalare, invano, avevo bisogno di tenermi almeno qualcosa di buono. Sono da poche pretese, ma non a buon mercato ed è per questo che mi approprio di una manciata di canzoni fatte di quel country che sapeva tenermi compagnia incoraggiandomi, avvolgendomi in atmosfere di una vita agognata da sempre, una vita che chissà se si farà mai anche solo sfiorare dalle mie dita ruvide.



Avevo bisogno quanto l'ossigeno di andare via, di allontanarmi, di scappare, per certi versi. Anche se solo per poco.
Bramavo una pausa e quella che mi hanno offerto è stata una benedizione - estenuante eppure incredibile - durante la quale ho potuto fare un po' di conti con me stessa, riappropriandomi di quella parte della mia natura che devo aver buttato via assieme al vetro delle  bottiglie che mi hanno svuotato prima l'anima poi la voglia di vivere man mano che il tempo trascorreva.
Ma il vetro si ricicla, e così ho fatto io con me stessa. E nella Città del Peccato ho ritrovato autostima, amor proprio, persino affetto per quella me così rincoglionita e cazzona da avermi rovinato la vita, ma non il resto della vita.


Las Vegas è luci colorate sempre accese, eccessi in parte inconcepibili e in parte comici. Las Vegas è balordi che bruciano alle macchinette tutto quello che hanno in tasca, accanendosi, e non badano che sia mattina, pieno giorno o notte inoltrata. Las Vegas è mazzieri che prima sbadigliano e poi ti sfoggiano il più grande dei sorrisi se gli passi vicino, perché lavorare a percentuale - e a mance - non credo che faccia arrivare sereni a fine settimana, quando è giorno di paga. Las Vegas è negozi aperti ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni su sette, è contrasti così forti da straziare, assurdità che ti fanno vergognare di aver distolto lo sguardo per non vedere e, sotto certi aspetti, è impotenza allo stato puro. Las Vegas è ragazzi rassegnati, sporchi, in branco, ubriachi da far schifo, impolverati, buttati a terra accanto alle loro scritte su pezzi di cartone buone giusto a rimediare qualche spicciolo, ma ragazzi che se ti vedono con un bel vestito, ti sorridono - sdentati - e ti regalano una parola buona, dolce, premurosa, magari un po' grossolana, però bonaria e rispettosa: anche se tu non hai nulla da lanciargli in cambio.


Las Vegas è turisti vistosi, affannati, sudati, cafoni, prepotenti, curiosi, vestiti di colori sgargianti in tagli di abiti che non perdonano nessuno dei vizi che si sono concessi negli anni; turisti seriali, desiderosi di accumulare, di portare a casa, di avere sacchi pieni di compere da sfoggiare: re e regine dallo scettro da selfie sempre pronto ad essere allungato, poco prima di scattare la milionesima foto-cheese. Las Vegas è prostitute appariscenti, bellissime, ammiccanti, generosamente disponibili ai tavoli da gioco, eppure quelle stesse donne - prima dell'alba - tornano a essere soltanto ragazze stanche col trucco colato che, ciondolando su tacchi improbabili, se ne tornano a casa dopo ore di lavoro, presumibilmente da voltastomaco. Las Vegas è aria condizionata con temperatura siberiana anche a cielo aperto (perché vaporizzata) e nei parcheggi; è lusso ostentato, cerimoniali da film muto di inizi Novecento e costruzioni mastodontiche, sfacciate, plasticose, eppure belle come le attrazioni di un immenso luna park.


Las Vegas è tassisti cubani in cerca di un briciolo di umanità e di scambio di voci, mentre ti accompagnano in Cadillac Escalade verso l'aeroporto, ma anche tassisti di origine filippina che dalla loro Lincoln, ti elencano meticolosamente i nomi di ogni singolo hotel, resort e casinò e - ad ogni semaforo - ti ripetono come una cantilena almeno un paio di aneddoti che ti fanno sorridere e annuire in segno di approvazione, stupore ma spesso anche non-ho-capito.


Las Vegas è l'America che mi mancava fino a stare male, l'America che non ero ancora riuscita a vivere se non negli intenti, l'America che non mi sarei mai potuta permettere di rivedere in tempi brevi, l'America che avevo dimenticato e che ho ritrovato: l'America da sola, per la terza volta.


Las Vegas è stata il riappropriarmi del tempo secondo i miei bisogni, secondo i miei desideri, secondo le mie inclinazioni e secondo i miei ritmi, i miei soli ritmi. Ho adorato non dover rendere conto a nessuno, non dover svegliare nessuno, non dover pregare nessuno di non esagerare, non dover aspettare che ci si alzasse dal tavolo di un locale mentre sentivo di perdere tempo prezioso per vedere, toccare, sentire e prendere a due mani un pezzo di mondo nuovo e sconosciuto. E ho constatato che nella vita che credevo sarebbe durata per la vita, non avrei mai potuto godere di tutto quello di cui ho fatto esperienza in modo fiabesco, volutamente appassionato, genuinamente pieno di entusiasmo come ho fatto da sola.

Las Vegas mi ha ricordato quanto io possa essere in pace con me stessa nonostante ci possano essere migliaia di specchi a circondarmi, mi ha mostrato che non sono invisibile, che non sono del tutto sbagliata e che non sono nemmeno così ingombrante, inutile, misera, come qualcuno voleva che diventassi, per godere del male che mi infliggeva. Questa città così viva e travolgente, che ho definito affettuosamente la Rimini d'America con un' Amica, si è presa cura di me come una buona zia, come chi sceglie di averti a cuore e di accudirti senza chiederti niente in cambio, se non rivederti sorridere non appena ne hai le forze, la voglia, lo slancio.

E allora Viva Las Vegas, luogo dove ho deciso di sposarmi in gran fretta con le mie tettone, i miei occhioni, il mio sorriso grande e la mia lingua biforcuta, con le mie gambe e con la mia pancia, con le mie braccia sempre più piene di disegni e piedi con le unghiacce smaltate, ma sempre troppo stanchi.

Viva Las Vegas! Fiabilandia nella quale ho promesso Amore Eterno - davanti a Dio, al cielo più grande che ci sia, ad Elvis, ai Kiss mezzi nudi in strada, a Topolino e ad ogni singola vescica che mi è venuta miglio dopo miglio - ai miei sogni appena rifioriti e a come sono, ai miei sbagli, ma ancora di più al credere che il meglio mi stia aspettando e debba ancora arrivare. Che non tutto sia perduto, che abbia solo smarrito la via, ma che sappia esattamente come ritrovarmi .

Che Viva la luccicosa Las Vegas
e che sia gentile con voi come lo è stata con me se potrete, se vorrete mai andarci, perché in me il suo ricordo viva, pulsi e gridi sempre tutto quello che non sei riuscito a spegnere, distruggere e far morire.

Persino il più lacerato dei cuori può essere ricucito e a me non mancano né ago, né filo, né mani per rimetterlo insieme.
I know your head is turning
I know your heart is burning
Girl, you gotta listen

Don't you know he ain't worth missing
(Toby Keith)


martedì 7 giugno 2016

Dei voli internazionali interminabili: una guida per la sopravvivenza.

Io non so che cosa mi stia succedendo, ma anno dopo anno, volo dopo volo, la mia angoscia, il mio catastrofismo e il mio panico accrescono esponenzialmente quando mi ritrovo ad alta quota, ben ancorata ad un sedile di una Simmenthal volante.

Colpa dei pochi viaggi? Macché! A quelli mi ci ha fatta abituare l'entusiasmo fin da quando ero ragazzina e posso dire di aver goduto del privilegio di aver perso il conto dei decolli e degli atterraggi, così come delle mete nelle quali ho potuto trascorrere più o meno tempo.

Ma allora che cosa mi succede?

Mentre scrivo, sono da qualche parte in mezzo all'oceano Atlantico, direzione Miami, ovvero prima tappa di questo viaggio che in sole 24 ore mi condurrà da Malpensa a Las Vegas. Non avendo voglia di leggere, di guardare un film o di fare le parole crociate, mi metto a scrivere e penso a quei ragazzi appena sposati, alla tizia in tacco 12 a quell'altra in sandali che si son beccati una non-stop di dieci ore filate e che sono visibilmente disorganizzati e scomodi nel loro viaggiare.

A seguire una serie di consigli appresi di prima mano, ricevuti ad ogni nuova avventura. Sono  suggerimenti trafugati studiando gli altri viaggiatori, pensate geniali scambiate condividendo ore o giorni, dei salvavita appresi a seguito di conseguenze più o meno gradevoli che ho avuto modo di fare sulla mia pelle. Consigli magari ovvi, volutamente tragicomici, ma indicazioni che mi sembra opportuno annotare: alla peggio torneranno comodi solo a me.

1. Prima di partire fate una lista di tutto quello di cui potreste aver bisogno mentre siete via, suddividetela per argomenti, ed iniziate ad elencare - il più precisamente possibile - quello che vi potrebbe occorrere. Documenti, vestiti, accessori, medicine, prodotti per la cura della persona,  accessori, extra che ritenete imprescindibili.
Iniziate a stilarla almeno una settimana prima di mettervi a fare i bagagli. Più accurata sarà la lista, più universalmente valida sarà, e - abbreviata o allungata - sarà vostra alleata per la preparazione di ogni valigia successiva da quella per un weekend, al viaggio sabbatico di un anno. Annotatela quindi su una rubrica, un'agenda di casa, il vostro diario, salvatevela su un drive oltre che sul pc, inviatevela via mail. Insomma, non relegatela ad un foglio di carta straccia.

2.Vestitevi comodi e abolite ciò che vi sta stretto già mentre guidate, un conto sono un paio d'ore di volo, un conto è una trasvolata oceanica. Ogni fastidio legato a ciò che indossate verrà pagato a caro prezzo con il trascorrere del tempo. Ricordatevi che una felpa va portata anche con 45°C  al suolo, perché immobilità e temperature siberiane a bordo, favoriranno lo smoccolamento del vostro naso, poi di quello dei santi del calendario quando vi ritroverete influenzati.

3. Se siete donne truccatevi il minimo indispensabile, anzi, se avete già un uomo o se la vostra destinazione è l'Afghanistan (e quindi si suppone non vi interessi la fauna locale) evitate proprio di farlo. La pelle in aereo tende a seccarsi per colpa del condizionamento dell'aria. Io viaggio senza trucco - anche perché mi viene da star male all'idea di riaccasarmi - e tengo a portata di mano in una pochette: sapone, crema idratante e burro cacao . Li applico almeno ogni 3/4 ore, o meglio, in corrispondenza di ogni sonnellino e risveglio. Io mi porto anche una lavetta, perché quando passo la carta sul viso per asciugarmi, mi sento più sporca di prima che me la lavassi.

4. Bevete il più possibile - non ho detto di ubriacarvi che tanto è aggratis - e se potete, magari, evitate di fare come la sciura della Florida che mi siede accanto e che, nel giro di sei ore di volo, si è già tracannata cinque bicchieri da bibita colmi di vino rosso e due birrette. Fatevi sempre dare almeno un bicchiere d'acqua ad ogni giro di hostess e steward e buttateci dietro quel che più vi pare. Ecco, se avete la tendenza al mal di panza evitate di bere troppe bibite gassate in quanto - in quota - sono difficilmente digeribili. Non vorrete mica ritrovarvi ridotti allo stato gassoso, o  no?

5. Se siete deboli di stomaco - oppure rompini o sfigati con l'alimentazione - portatevi i vostri snack, perché la noia, così come l'immobilità portano a desiderare di mettere qualcosa tra i denti, e quasi mai per autentica fame. Se amate la frutta portatevela da casa,  perché il Minute Maid può ricordare l'arancia, ma di arancia dentro ne ha ben poca, e io  proprio oggi , ho rimediato un terribile crumble alla ciliegia come surrogato della frutta.
È buona norma, quindi, non dimenticare mai un antiacido in compresse oppure un'anti-nausea se di soprannome fate Vomitillo Malcontento. E ricordate che anche i chewing gum vanno centellinati, perché vi gonfiano, e poi ruttate, e poi mi tocca menarvi se mi sedete accanto.
In ogni caso, sappiate che nei voli intercontinentali sarete coccolati, nutriti e tendenzialmente inchiattati a volontà.

6. Portatevi il cuscino a mezzaluna, la maschera per coprire gli occhi e i tappi per le orecchie. Non scherzo, vi salveranno quando sarete morti di sonno e non riuscirete a spegnervi. Il cuscino sceglietevelo strafigo, ma deve essere comodo e schiaffatelo nel bagaglio a mano: categoricamente, pena annullamento del volo. Ve ne sarà fornito uno di cortesia, grande come un vassoietto e inutile come le indicazioni delle uscite di sicurezza prima del decollo. Avrete anche un plaid, ma se volete evitare bocche aperte, craponi ciondolanti e resurrezioni dall'oltretomba, tenere ben fermo il collo, come se ve l'avessero ingessato, quella mezza ciambella vi sarà d'aiuto.

7. Infine, se siete affetti da almeno due o tre queste patologie:
- Oddio, moriremo tutti!
- Oddio, precipiteremo!
- Oddio non rivedrò mai più il mio cane e non mangerò mai il nuovo Magnum con copertura al doppio cioccolato!
- Oddio quello col turbante che si è appena alzato in piedi, ora si farà esplodere e ciao pepp!
- Oddio, una turbolenza, adesso accendo il cellulare per postare su Facebook che non posterò mai più (se non dall'Aldilà)

Provate con questi aiuti che ritroverete accanto a voi, pronti  a soccorrervi.


- Cercate l'equipaggio, se vedete la crew sul pallidino andante, seduta, con le cinture di sicurezza ben allacciate e intenta a pregare, allora siete spacciati: buonanotte ai suonatori, tirate fuori il violino alla Titanic e non serve che leggiate altro. MAscorgere in loro della naturalezza, distrazione, persino monotonia nello svolgere il loro lavoro, sarà un ottimo calmante: l'equipaggio tornerà a casa e voi con loro.

- Cercate un marmocchietto, più piccolo è, meglio è. Se è stato buono, allora merita di diventare grande, di vivere emozioni, di fare cazzate e di prendere un aereo tra vent'anni tutto solo senza i genitori. Se il piccolo è un bastardello, allora, merita di diventare grande e di vivere ogni volo con un suo degno erede che gli scassi le balle ad ogni singolo spostamento aereo, ferroviario e marittimo che sia, perché il Karma esiste, ah, se esiste.

- Pensate che quelli attorno a voi se la dormono beatamente e viaggiano nella serenità più assoluta e sfacciata... e fatemi capire: quelli devono scamparla e noi schiattare per aria come popcorn? Nah, non esiste.

- Se tutto questo non dovesse bastarvi, se non fosse sufficiente a ripristinare in voi la quiete e la spensieratezza, allora sappiate che ad un certo punto - nella stagione estiva - potrebbero porgervi, durante le vostre ultime preghiere, una coppettina di gelato, che vi farà stare bene come un grattino sotto al mento, come il sorriso di chi vi vuole bene. Perché persino nella disperazione più inconsolabile ad alta quota, lo stupore potrebbe spuntarla su di voi e su tutte le rogne e rognette che vi hanno fatto viaggiare inquieti.

Sono le sei e mezza di sera, ora italiana.
Scrivere ha fatto volare quasi un paio d'ore.
Me ne mancano almeno altre otto di volo e tre di scalo.
E come direbbe Coliandro: MINCHIA.

E non può succedere nulla perché me l'ha assicurato lo Steward. Perché lui vola da almeno una trentina d'anni. Intrattiene i bambini con giochi di carte, ingozza la vecchia di vino, mi dice che sembro una bambina e continua a prendermi in giro perché non crede alla mia età (sono vestita da Rita Pavone, nemmeno io credo al mio passaporto) . E siccome lui e il capitano fanno le veci del mio papà, mentre sono in mezzo alle nuvole a dar fastidio agli angeli, allora posso avere meno panico, meno angoscia, meno ossessioni. 

Bisognerà pur credere che tutto andrà bene, altrimenti che senso avrebbe desiderare un nuovo viaggio, una nuova avventura, persino di spiccare nuovi voli?




sabato 4 giugno 2016

Del femminicidio



Un pensiero incarognito sul femminicidio. 
O lo condivido o muoio avvelenata dalla mia stessa bile.

È che si dovrebbe smettere di chiedere alle donne "Come hai potuto permetterlo?". E ribaltare definitivamente di peso chi è colpevole. Partire quindi da un nuovo punto di vista : "Tu, pezzo di merda schifoso, come cazzo ti sei permesso?".

Ma chi infligge persecuzioni è furbo, sfacciato e chirurgico. Agisce nell'ombra, al buio, a porte blindate chiuse a doppia mandata: senza lasciare traccia. Nasconde per bene i segni che infligge e le mortificazioni con cui infierisce, certo del compiacimento che gli assicura che la passerà liscia. Anche stavolta.

Manipola la mente, la realtà, la volontà di chi gli è succube. Fa leva sul senso di colpa. Gioca sadicamente con i sentimenti di chi si illude che vaneggiando d'amore, dimostrandosi sempre più comprensivi e disponibili, si innescherà quel meccanismo capace di indurre il cambiamento di qualcosa o almeno di scongiurare degenerazioni persino peggiori di quelle che sono già - abitualmente - la regola.

Nemmeno la più tribale delle leggi del taglione basterebbe a risarcire un solo giorno di inferno, un solo momento di umiliazioni, una sola notte di disperazione. E l'inadeguatezza delle pene è il primo e il più spietato dei complici. Poi seguono la compiacenza,  lo scetticismo, la denigrazione, la percezione di esagerazione, il prendere le distanze e, infine, l'indifferenza degli altri.

Scarpe rosse per prenderli tutti a calci quelli così, prima sui denti, poi tra le gambe.
Scarpe rosse per scappare senza voltarsi indietro.
Scarpe rosse per celebrare la propria dignità ritrovata.
Scarpe rosse per farsi notare e camminare a testa alta: risorgendo.

giovedì 2 giugno 2016

Di KISS ROCKS VEGAS al cinema

kiss kiss army kiss rocks vegas

Quando ho saputo di questa proiezione, in principio, mi sono girate un po' le balle, perché internazionalmente il concerto è stato condiviso il 25 maggio 2016, mentre per Sud America e Italia lo spettacolo è stato posticipato al 31. Volevamo distinguerci? Mah, chissà, Di sicuro volevano che morissi di impazienza. Sta di fatto che giorno peggiore non avrebbero potuto infliggermelo: la mattina seguente la mia sveglia sarebbe suonata prima delle cinque, il mio treno sarebbe partito dalla Stazione Centrale in direzione Verona alle sette spaccate e le mie ore di sonno avrebbero rasentato le quattro e mezza scarse. Ma io sono roccherolle e non temo il sonno!

Gli intoppi non mi hanno fermata anche perché avevo dato la mia parola a qualcuno che merita che ogni promessa sia un debito e ogni patto rispettato, ragion per cui io e la mia sorellina Silvia, armate di popcorn (lei) e caramelle in confezione da chilo (io), ci siamo messe in poltrona a godere di uno spettacolo che - se solo avessimo potuto viverlo davvero - sarebbe stato quello della vita, in assoluto il più indimenticabile tra tutti i concerti visti e scaraventati addosso in nemmeno due ore di musica. 

kiss kiss army kiss rocks vegas


I KISS non si smentiscono mai e il mio amore per loro non fa che accrescere man mano che il mio processo di stagionatura avanza. In epoca social è delizioso poter seguire quelli che sono i tuoi idoli via Twitter o Instagram, impazzisco quando Paul Stanley condivide delle foto improbabili dei suoi desinaretti preparati per quella bonazza della moglie, o quando il buon vecchio Simmons fa da promoter ai figli. Attraverso i loro link, tweet e scatti viene però ridimensionata la percezione di "inarrivabile" e viene resa a portata di click, una sorta di intimità e prossimità. Ecco, non nascondo che forse questo processo manipola e annienta quella devozione che si rivolge ai miti, a quelli che attraverso la loro musica o la loro arte hanno guidato pezzi importanti della tua esistenza, eppure una sorta di smaterializzazione delle, so called, divinità ti porta ad apprezzarne maggiormente gli intenti e le opere. 

Lo spettacolo è stato girato all' Hard Rock Hotel & Casino di Las Vegas nel novembre del 2014 ed è un lungometraggio - introdotto da una serie di interviste che mostrano un lato molto affettuoso della band di New York e persino tenero il alcuni frammenti - rappresenta una sorta di tappa della maturità imprescindibile dal loro modo spettacolare di porsi. Las Vegas è la Città delle Luci e gli effetti speciali non sono mancati nemmeno un istante, non hanno lesinato in termini di luci e esplosioni. E' come se i Kiss sapessero rendere un Circo, volutamente ostentato, un momento di meraviglia, stupore e incanto, ma lo fanno a suon di rock. Si sorride allo schermo mentre si balla, mentre si tiene il tempo, mentre ci si chiede "Ma perché tutti questi rincoglioniti che mi circondano se ne stanno buoni buoni in poltrona?".

A fine concerto non avevo più voce, le mani tremavano ed ero al settimo cielo, come una bimba che ha appena assistito a qualcosa di fantasmagorico. I KISS hanno ammansito qualcosa in più di tutto quello che è ancora troppo complicato e va a gravare su quello che è già di per sé conciato per le feste.

kiss kiss army kiss rocks vegas

I KISS ti incoraggiano, ti riempiono di energia allo stato puro, ti confortano, sono dei buoni amici che ti ficcano nel cervello che tutto andrà per il meglio, che ad impegnarsi si verrà ripagati e che la vita possa essere veramente una figata solo e soltanto se vissuta al massimo. Ed è proprio loro il rock del quale ho bisogno ora. Quello di cui ho avuto bisogno fin da quando ero una ragazzina.

La musica ti rimette insieme tutto quello che ti si è rotto.
Lo fa imponendoti di tenere il tempo, di saltare sulla poltrona, lo fa facendoti sentire bene, bene per davvero. E quindi gli poso perdonare persino di non avermi permesso di rivivere I Was Made For Loving You, cosa che invece avevano fatto nel lontano 1999, quando in compagnia di Federico e Tiziano, mi sono guardata e goduta il concerto a Milano da posti riservati, felici come nessun altro (forse solo un pochino meno di Tiziano) di essere stati lì a pochi metri dallo PSYCHO CIRCUS.

kiss kiss army psycho circus