martedì 13 dicembre 2016

Di Santa Lucia



Insomma, Zuckerberg, "Accadde Oggi" te lo saresti potuto risparmiare. Anche perché poi, appena sveglia, ho il bisogno malsano di prendere atto di quel che è stato, ma ancor di più di quello che ora è. E allora sbircio, come una stalker della mia stessa vita, tra i ricordi abbelliti dagli intenti e dalle speranze che si ostinavano a credere alle menzogne. Colpi ben assestati in pieno stomaco, improvvisi e inevitabili come le carrellate che ti prendi il sabato mattina nel reparto ortofrutta del supermercato quando fai la spesa.

Ma ai ricordi si sopravvive. Si sopravvive a tutto. Persino all'inimmaginabile. Si sopravvive ai lutti, alla solitudine, alle malattie, al cinismo più sadico, all'abitudine e all'ineluttabilità. Si sopravvive persino alla malinconia, alla disperazione, alla pastina troppo salata, ad un rimprovero da parte di una voce sgraziata, ad una storta che prendi in mezzo alla gente e quasi finisci a terra.

Non operano più Bloodino. O meglio, per evitare che l'attacco di esorcismo di settimana scorsa - tuttora in cura con antibiotici - possa interferire con la terapia post operatoria di routine, il veterinario ha suggerito di aspettare.

- Il 28 dicembre le va bene?
- Sì, certo.
- Non le crea problemi con i festeggiamenti?
- Anche se avessi qualcosa da festeggiare, il mio cane verrebbe prima di tutto.

E non perché sia brava, da applauso. Anzi. È solo che avrò meno lavoro e quindi avrò più tempo. E se avrò anche un alibi valido e sostanzioso dalla mia, non avrò motivo di scavare a mani nude in quel che è stato fango travestito da centro benessere, pur di farmi dell'altro male.

È Santa Lucia. La santa della mia Svezia, la santa delle candele, delle brioscette allo zafferano, la santa dei cori e della Luce. La santa della speranza e dei buoni propositi, la santa delle caramelle e dei cioccolatini. La Santa di uno degli incanti di dicembre.

Che luce sia, allora.
Dentro, fuori e tutt'intorno.
Luce negli sguardi e nei sorrisi.
Luce in fondo alla gola, nello sterno e nella pancia.

Lucia, io non so se sia cosa da chiedere, ma non farmi fare la tua fine. Se puoi.

(Per i blasfemi che bruceranno alla grigliata del Satanasso giù da basso: vergine, martire e bruciata viva. Ah, forse le hanno pure strappato gli occhi).


giovedì 1 dicembre 2016

Della minestra dell'anima


Un-chicken soup for the soul.

Siate minuziosi con il dispiacere: fatelo a pezzi.
Pezzetti piccoli e graziosi, incisioni regolari, tagli netti e decisi.
Prendete poi quel mosaico colorato di malessere e mettetelo in una pentola capiente, lasciate che borbotti, che si lamenti, che diventi una poltiglia da prendere a cucchiaiate.
E aggiungete del riso, se vi va.
Riso a cuor leggero, riso sfacciato, riso con gli occhi lucidi, riso e basta.
E poi servite, ricordandovi di non essere mai servili.




lunedì 21 novembre 2016

Del farcela, del pigiama zebrato


È da sabato mattina che ho in mente questo post, ma di solito succede così: prima penso ad una frase, una bella frase eh, una di quelle da centomila milioni di condivisioni, applausi, premio Pulitzer e posto fisso con tredicesima e ferie pagate. Una frase che da sola diventa un best seller. Poi me la dimentico. E - di conseguenza - poi mi dimentico anche del post della vita, che un po' come tutto il resto, mi passa di mente e buonanotte ai suonatori.

Nel corso degli ultimi giorni mi sono imbattuta in circostanze che mi hanno coinvolta emotivamente e mi hanno portata a riflettere. E poi a singhiozzare sotto la doccia, a scuotere la testa cercando di scacciare la nostalgia e - in particolare - scagliare via la distorsione della realtà nella cui pratica il mio cervello bacato non ha rivali. Fortunatamente, non sono sola perchè l'asse Solaro - Siziano è indomito nel supportarmi e ancor di più nel sopportarmi, ma io ho anche Padre Mauri ad incoraggiarmi. Succede così che la solitudine diventi un privilegio che scelgo di concedermi per riposare o per riprendere fiato.


Mi sono ritrovata a pensare a me stessa come ad una donna sempre più forte, sempre più consapevole, sempre più disincantata e persino sempre più selettiva.
Che spettacolo!
- Ma come... proprio tu , Milvina?
- Già. Proprio io, mondo caro (o mondo cano per dirla alla Faletti ai tempi d'oro).
Passeggiavo con Bloody per i campi lo scorso sabato. 

Ogni qual volta il tempo ce lo consente, ne approfittiamo sempre per sfuggire all'asfalto e ai tubi di scarico, ma anche ai convenevoli da guinzaglio. Basta che prenda la macchina, due uscite di superstrada e siamo in un mondo tanto surreale quanto rigenerante.
Avevo l'autonomia della batteria del cellulare, ormai da cambiare (perchè i Samsung allo scoccare dei due anni si autodistruggono in una manciata di giorni), agli sgoccioli. Eppure ho voluto scattare qualche foto, tra l'altro ben riuscita a detta dei seguaci su Instagram. Attraverso quelle istantanee senza pretese sono riuscita ad immortalare persino i pensieri che, insolitamente, da giorni continuano a farsi ripetere tra le tempie e continuano a rimbombare nel silenzio delle labbra serrate.



Se ce la fanno le gocce di pioggia a rimanere aggrappate ai rami, alle bacche e alle foglie, allora ce la posso fare anch'io.
Se ce la fanno i fiori nei prati a resistere al gelo, alle zampate ciniche e alle suole delle scarpe indifferenti, allora ce la posso fare anch'io. 
Se ce la fa la gambetta più corta di Bloody a correre come se nulla fosse, prendendo velocità ad ogni attrito con la terra, allora posso farlo anch'io.
Se i bambini imparano ad allacciarsi le scarpe, allora ce la posso fare anch'io.
Se non ho mai ceduto, se non ho mai ipotizzato di tornare sui miei passi, se scaccio l'amarezza a suon di hard rock, allora ce la sto facendo.
E col cazzo che mi accontento.
Ed è bellissimo potermi concedere la sfacciataggine di fissare questo traguardo, uno tra i più insperati e sostanziosi: sentire che ce la sto facendo.



In fondo, sono una tettona che canta David Coverdale e Charlie Daniels. E pure i Mountain di Leslie West. 
Sono una che sta così bene, da comprarsi pure un pigiama zebrato e fottersene della lingerie che l'età prescriverebbe propedeuticamente all'accasamento, ma è che non ho nemmanco mezzo psycho con cui sfoggiarla: perchè decido io che sia così.

Mi sa che inizio a crederci.
Mi sa che sto lavorando bene.
E chi mi ammazza?
Di certo non tu. E nemmeno tu. Figuriamoci te.

Nota: dopo non so quanti anni, mi sono arrogata il diritto di salire su un'altalena e di rimanere a far ciondolare le gambe fino a quando non mi è girata la testa e non mi è venuta la nausea.
E se si fosse rotta, per colpa del mio dolce peso, dei miei anni e della mia altezza... ecco, non sarebbe stato un problema mio.




Soundtrack of the day: Golden Earring - Radar Love
Clicca qui per ascoltare Radar Love

sabato 19 novembre 2016

Del 19 Novembre 2014

Tu sei la risposta più bella a tutto quello che non gira, tutto quello che si ingarbuglia, tutto quello che si rompe, tutto quello che si annoda e strozza, tutto quello che fa rumore inutilmente, tutto quello che cerca di far male, tutto quello che infastidisce come zanzare vicino al cuscino, tutto quello che luccica pur non avendo alcuna sostanza, tutto quello che non serve, tutto quello che se ne deve andare, tutto quello che non sarebbe mai nemmeno dovuto esistere e tutto quello che non mi appartiene e che mi tocca masticare, ingoiare e a volte persino digerire.

martedì 15 novembre 2016

Delle donne e delle parole che ha condiviso Lucia



Sono le donne difficili quelle che hanno più amore da dare, ma non lo danno a chiunque.
Quelle che parlano quando hanno qualcosa da dire.
Quelle che hanno imparato a proteggersi e a proteggere.
Quelle che non si accontentano più.
Sono le donne difficili, quelle che sanno distinguere i sorrisi della gente, quelli buoni da quelli no.Quelle che ti studiano bene, prima di aprirti il cuore.
Quelle che non si stancano mai di cercare qualcuno che valga la pena.
Quelle che vale la pena.
Sono le donne difficili, quelle che sanno sentire il dolore degli altri.
Quelle con l'anima vicina alla pelle.
Quelle che vedono con mille occhi nascosti.
Quelle che sognano a colori.
Sono le donne difficili che sanno riconoscersi tra loro.
Sono quelle che, quando la vita non ha alcun sapore, danno sapore alla vita. 


 Alma Gjini

mercoledì 26 ottobre 2016

Della prima volta della mia nuova vita


Sottotitolo: Sembro figa, ma faccio cose da sfigata.

Ad esempio, bevo il Ciobar, ma lo sciolgo nell'acqua bollente per risparmiarmi le calorie del latte. Compro i jeans taglia 44 elasticizzata che mi stanno sottovuoto e stabilisco (sgranocchiando biscotti) che non ingerirò nulla per almeno una settimana, così poi mi staranno da dio.
Mi affeziono a presenze di passaggio e quando si allontanano risento della mancanza di attenzioni, di premure, di quegli aspetti delle relazioni umane che mi mancano ben più di qualcuno stesso.
Perché in cuor mio, ahimè, sono ancora legata da ragnatele, fortunatamente sempre più sottili, al lutto che mi porto appresso e che provo verso tutto quello che è andato perduto. Ma ciò nonostante non ho la minima intenzione di sprecare energie, forze, pazienza e comprensione verso chi non ne ha (e non ne dimostra) nei miei confronti. Così come per qualcosa - o peggio ancora qualcuno - che non merita tempo nemmeno per sbaglio.

Vivo un momento di profonda crescita spirituale, di concretezza, di conseguimento di traguardi e conferme. Ci sono accadimenti che mi travolgono fino a lasciarmi incredula, altri - quando arrivano - mi sembra quasi di non meritarli, altri ancora gravano su di me come croci e vorrei solo liberarmene in fretta.

Mi girano i coglioni in tempo zero quando vengo etichettata in qualsivoglia maniera, mi pento alla velocità della luce di essermi lasciata andare a slanci di fiducia e confidenze tradite in men che non si dica da sentenze spietate e superficiali. Ma tant'è. Chi è causa del suo male se la deve smazzare da solo. Sola, nel mio caso. Pure troppo sola, suvvia.

Domani sarà il primo giorno di un nuovo lavoro prestigioso e impegnativo, uno dei tanti che mi consentono di fare la formichina, di far strisciare la carta di credito senza tremare come fosse un giro di roulette russa, di concedermi quei lussi da pochi spiccioli che per me valgono più dei brillocchi.
E insomma, sapere che il mio conto corrente - quasi risanato nel giro di nemmeno mezzo anno - goda di ottima salute, mi rincuora.
Mi fa sorridere e impensierire l'idea di vestirmi in modo professionale, seppur sempre sfacciatamente rock, e pensare che per l'occasione ho comprato persino due camicette: una da Dark e l'altra da Hippie. Perchè io valgo.



Ma questo post si apre un un titolo forte, volutamente intenso e provocatorio: perchè a 39 anni suonati ho ricominciato a cantare. Ed essere per la prima volta in sala prove con i miei Amici, dopo anni di allontanamento e strade che non ci hanno permesso di intrecciarci nemmeno per sbaglio, è stato come riprendere in mano un lato incontaminato della mia interiorità, quello che mi porta ad esprimere sensazioni ed emozioni per mezzo della voce: un aspetto di me che nessuno è mai stato in grado di compromettere a tempo indeterminato.

Sì, perché mi sono ri-fidanzata con i miei Amici di Rock, ci siamo riabbracciati e stiamo mettendo in piedi un repertorio fatto di pezzi storici della nostra band e pezzi assolutamente nuovi con i quali rimetterci in gioco su qualche palco in giro per Milano e la Brianza. E non appena decideremo se riprenderci il vecchio nome a brutto muso, o se iniziare una nuova era, diventerò la stalker di fiducia dei miei tre lettori e dei miei cari amici social.

Siccome questo è un diario e nei diari si annotano le tappe importanti o almeno quelle significative volevo annunciare al mondo di essere uscita con un uomo. Udite udite, ho interrotto la mia vedovanza e persino la mia clausura monacale. E sono contenta di aver ritrovato la spensieratezza di condividere del tempo con qualcuno che non sia un fantasma del passato. Quindi sì, forse - tra altri sette mesi - uscirò con qualcun altro.

Speriamo solo che la prossima volta sia un bravo balordo, come vuole la mia tradizione personale, così da sentirmi a casa e non come un pescetto che sguazza sbiadito in un acquario abbandonato.


Soundtrack of the day: She's a Hottie - Toby Keith


martedì 4 ottobre 2016

Della scorsa domenica e della foto che...

Sarebbe potuta diventare la nuova foto profilo.
Mi avrebbe potuto far trovare marito.
Mi avrebbe anche permesso di cambiare lavoro, rendendomi miliardaria.
E forse mi avrebbe garantito un bell'ingaggio a Bollywood.
E invece, maledetto Scodinzolo, hai voluto esibirti nel più scemo dei photobomb e distruggere la mia fortuna.
(E io adesso, per punizione, ti ammazzo di baci e pernacchie sulla panza, amore mio).

venerdì 16 settembre 2016

Del primo autunno della mia nuova vita



Venerdì e il pomeriggio è appena iniziato.

Questa settimana il lavoro mi ha sommersa - ringraziando il cielo - e mi ha stremata al punto da avermi permesso di dormire quasi per tre notti di fila, notti interrotte soltanto da qualche sogno fastidioso, da qualche ricordo inutile, da qualche posizione infelice.

Il fatto che il lavoro stia avendo la meglio sul mio aspetto, me lo ha mostrato bene il riflesso di me a figura intera davanti alla porta finestra, mentre mi avvicinavo a Bloodino sdraiato sopra al letto. Capelli in disordine, pantaloni della tuta, canottiera di ieri, calzini improponibili, una felpa sgualcita, una molletta che poco ferma e troppo fa sfuggire e l'espressione stanca, sulla soglia dell'estenuazione, ammansita dalle labbra tese a sorridere, perché in fondo non c'è molto che non vada.

Sì, sono proprio stanca, stanca di quella stanchezza sana e buona che impone il mantenimento degli impegni, il rispetto delle scadenze, la precisione delle stesure. Sono stanca, ma accarezzata dalla gratificazione che segue l'apprezzamento per una tua traduzione, per un tuo articolo, per la tua capacità di renderti utile quando ti siedi ad un tavolo in casa d'altri e ti metti ad insegnare.

Non sto più male come un tempo. Lo scrivo a fatica, con paura, perché dichiararlo corrisponde a prenderne atto e, di conseguenza, al crederci. Sento meno peso sulle spalle, meno tristezza nella pancia, meno rancore nel petto. E se così fosse, vorrei che durasse ancora un po'. Perché è bello. Perché mi incoraggia. Perché dà energia agli slanci, alla dedizione e alla continuità.

Devo revisionare un articolo, devo proseguire con una lunga traduzione, devo aspettare che la ciambella che fa profumare la cucina di pasticceria si raffreddi per esaminare il contenuto di almeno una fetta, sorseggiando una tazzona colma di tè.

Fuori sta per piovere.
Bisogna correre fuori.


E mentre Bodibò controlla i valori delle urine su ogni palo, su ogni erbaccia sporgente e su ogni angolo di cancello, io mi metto ad osservare quello che mi circonda:
Una donna si sbraccia verso una macchina che sta per allontanarsi, soltanto per dire  "Ciao" al nipotino una volta ancora. Due ragazze tornano da scuola e sono vestite in modo più appariscente di quando io scaglio via la tuta e provo a mettermi giù da gara. Uno stendino dondola al vento in un cortile e lo strofinaccio rosso dell'anno 2003 sventola più sfacciatamente degli altri, complice la posizione privilegiata dove lo hanno appeso. Il collarino a scacchi del mio piccolo è diventato vecchio e logoro, sbiadito dalle corse al sole, dai bagni nell'acqua del lago e dal sapone di marsiglia con cui lo lavo a mano, ed è giunta l'ora di prenderne uno nuovo nuovo. Le foglie rotolano sull'asfalto della strada spinte forte dal vento, e mentre si allontanano fingono di essere tumbleweed nel deserto. Il cielo grigio e l'aria fredda che mi colpisce in gola mi fa pensare che la mia stagione sia finalmente alle porte.

Il primo autunno della mia nuova vita.
Di nuovo sola. Sola per scelta e per forza di volontà.








domenica 11 settembre 2016

Degli insegnamenti e dell'adeguatezza

Mi sono concessa un lusso.

E prima di scegliere di osare e concedermelo, a brutto muso, mi sono ricordata di mia nonna Isabella, dei lunghi anni trascorsi tra solitudine e infermità, sebbene fosse circondata da un mezzo paesino che aveva la buona abitudine di affacciarsi alla sua porta. E sebbene non le siano mai mancate le cure di mia zia. 
Nonostante faticasse a stare in piedi e camminare fosse un trascinarsi, reggendosi ai mobili e ad appoggi di fortuna, la sua condizione non le impediva, di tanto in tanto, di decidere di regalarsi qualcosa di buono da mangiare. I piatti da convivio, quelli della tradizione destinati alle tavolate rumorose, diventavano una monoporzione casalinga che semplicemente era qualcosa di buono e non c'era alcun motivo per negarselo.
Prendeva un pugnetto di farina, lo impastava con l'acqua che serviva e ne ricavava un panetto piccino, dal quale prendeva dei pizzichi di impasto e li filava con un ferro. Un'esperta di uncinetto sa sempre contare, e lei contava i suoi pochi filatelli, compiaciuta del fatto che sarebbero stati sufficienti per il suo scarso appetito e il sugo borbottante che preparava in un pentolino piccino, buono per un paio di piatti ben conditi.

Oggi ho preso un pugnetto di manitoba anch'io, l'ho miscelato alla semola rimacinata, alla farina di riso, a poche scaglie di lievito e mi sono preparata una pizza. Uno schifo di pizza, per l'esattezza. Uno scempio lievitato alla perfezione, maltrattato da una passata di pomodoro deplorevole, da ciliegine di mozzarella grossolane e gommose e dalla mia fame chimica, privata di ogni poesia già al primo morso.

Ho imparato che devo assecondare i miei bisogni, così come le mie voglie, ho imparato che sebbene la condivisione sia uno degli ingredienti fondamentali per la riuscita di un desinaretto alla Petronilla, così come accade per molte delle piacevolezze della vita, anche la solitudine meriti attenzione e premure, forse persino maggiori. E io ho energie per me stessa soltanto. Cagnolino escluso, perché è a Bodibò che devo ogni slancio e anelito di felicità.

Non scrivo di me con la stessa frequenza con cui la disperazione mi chiedeva che la esprimessi e la liberassi dal petto tempo fa. Il meccanismo è semplice: meno mi dispero, meno ci penso.

È che da un mese a questa parte mi piace dar voce a quello che osservo nelle avventure che vive il mio piccolo migliore Amico. Mi rasserena raccontare storie semplici, senza pretese, fatte di ingenuità e parole inventate. Ecco, quando scrivo di lui, è come se a digitare fossero le sue zampette e questa modalità di sfogo mi conforta. Scrivo frequentemente e lo faccio rivolgendomi ad un gruppo ristretto di occhi, i quali mi dedicano sguardi benevoli e parole sempre incoraggianti.

Ma trascurare queste pagine - fatte di luce, vita che fu e caratteri scuri - mi rattrista, mi immagonisce e acuisce il senso di colpa così già ben pasciuto da parte delle mie insicurezze.

È che questa sera avevo bisogno di fermare un paio di insegnamenti, affinché non venissero dimenticati, affinché non si perdessero tra gli affanni e le ossessioni, perché ho iniziato la mia opera di ricostruzione e non voglio tradire l'impegno d'Amore che ho preso con me stessa.

Dare il giusto peso ai ricordi, distinguendo nitidamente ciò che viene impreziosito dalla mancanza da ciò che realmente è stato. 

Comprendere quando e come si sia venuta a creare quella frattura nella mia emotività che mi impedisce di compiere quei gesti indispensabili e necessari per liberarmi del passato, dei fantasmi e della paura.

Mi sono scattata una foto prima di rimuovere il trucco, prima di controllare allo specchio quante lacrime avessero passato l'esame del mio makeup resistente all'acqua, prima di cedere e svelare così, alle luci dello specchio del bagno, il mio pianto durato ore, un pianto che trattenevo da troppi mesi, complice un'ostinazione volta a ricominciare che non ha precedenti in tutta la mia esistenza.

E non si vedeva nulla.
Perché è solo una questione di inquadrature adeguate, distanze adeguate, intenzioni adeguate.

Non ho progetti, se non un paio di tappe immense dal cui raggiungimento sono ancora ben lontana.

Ho firmato un nuovo contratto e scriverò ancora di piu. Fortunatamente. Mi verranno inviate delle traduzioni e riprenderò con le lezioni. Non è ancora abbastanza per garantirmi indipendenza spensierata e frivolezza, ma questo inizio di settembre ha saputo infondermi speranza e coraggio.

Adesso vorrei imparare a vedermi sempre sfacciata e sicura, e non più definita e descritta dalla mortificazione.

Coraggio.
E faccia tosta.
E qualcuno cui affidarmi.
E qualcosa in cui perdermi.
E qualcosa in cui credere.
Adesso non chiedo altro.



giovedì 1 settembre 2016

Del Fertility day

Dormire? Giammai.

Grazie anche alla Ministra della Supercazzola che mi ricorda quanto sia trullallà essere madre. Quanto sia fuck yeah la famiglia. E quanto siano in decomposizione i miei ovetti, buoni nemmanco per uno zabaione. Mancavano nuovi stimoli alla mia insonnia che oggi ha aperto le danze attorno alle 4.

Io avrei promosso invece un bel Disserbante Day, una giornata di formazione dedicata alla diffusione delle proprietà organolettiche del Napalm e della Diossina, al fine di rimuovere minuziosamente dalla madre patria una mezza generazione, composta da ominidi cazzoni, parecchio cazzari e ben poco cazzuti che corrono il rischio di moltiplicarsi.

A tal proposito conduco da anni delle ricerche sui figli di buona donna - coltivati durante le annate che vanno dal 70 al 78 - e i dati raccolti finora, contribuiscono alla creazione di una copiosa casistica di riferimento, atta a ricordare a me stessa di rendere grazie alla Maronn per non essermi ancora fatta impagnottire.

Alcuni di essi, più che figliare, dovrebbero continuare a mantenersi sotto spirito. E semmai - di grazia - annegarci pure in contanta ebbrezza.

Ordunque, invece che colpevolizzare le donne e assestare coltellate nazional-impopolari, investite in progetti sociali un po' più decorosi, meno mortificanti, meno discriminanti per chi non può, chi non riesce o chi - come chi scrive - sceglie di prendere la pillola, infilarsi un paio di anelli di Cassina e ChechiJuriJuriChechi, vestirsi come Gegia e limonare solo dopo una sorsata di Listerene: per prevenire, che non si sa mai.

Ah. Per la cronaca. 

Ho appena rifilato un pacchero oldschool - la schiaffa, precisamente - ad un insetto col guscio per salvare me stessa e il mio cane dall'ennesimo rumore molesto.
Che soddisfazione essere il Chuck Norris di casa. Con meno barba. Più o meno.




giovedì 18 agosto 2016

Delle quattro del mattino




Forse, già che ci sono, dovrei aspettare l'alba ormai.

Forse dovrei leggere. Forse potrei ricamare. Forse dovrei tornare a letto, buona buona. Forse potrei guardare un film. Forse potrei smettere di tifare gli azzurri della pallavolo, visto che finalmente - dopo in quarto d'ora di tv che va a vuoto - mi sono accorta che è l'Argentina a giocare.

Forse dovrei smettere sistematicamente di: ricordare, ripensare, rivivere, riprovare, risentire. Forse perché sono stufa e forse anche scoglionata.

Forse inizio a sentire le urgenze e le scadenze di Settembre incombere. Forse mi impressiona l'incertezza di quello che sembra non saper cambiare. Forse sono soltanto troppo nervosa. Forse è colpa dell'incompiutezza. Forse è per via del tempo che trascorre un po' come diavolo gli pare.

Forse dovrei iniziare a scrollarmi di dosso le sensazioni malsane che alcune circostanze e alcune persone mi impongono. Forse dovrei seguire le indicazioni di Ryanair e prenotare un volo a caso a otto euro,  e poi forse si vedrà.

Forse non puzzo di fallimento come invece temo ogni volta che annuso all'interno della maglietta della mia coscienza. Forse sono sulla strada giusta, ma forse è come una di quelle cazzo di salite di montagna che sembrano non finire mai.

Forse io amplifico esponenzialmente anche il più piccolo degli stimoli e le reazioni che ne scaturiscono sono esplosioni atomiche.

Forse dovrei solo accettare che non si possa dimenticare tutta quella cattiveria dalla sera alla mattina. Forse non posso perdonare che tutto quell'accanimento - per l'ennesima volta - sia rimasto impunito.

Forse, a scrivere con sto telefono, mi sta tornando il sonno. Forse mi verrà su il latte. Forse ci vuole troppo tempo prima che sorga il sole. Forse vorrei che tutto fosse innocuo come ogni tanto sembra che lo sia qui.

Forse sono tutti i forse del rancore e del dispiacere ad avere la meglio. Forse sono quelli dell'ineluttabilità e della frustrazione. Forse sono quelli della delusione. Forse è lo sdegno più incredulo l'ennesimo nemico da combattere.


mercoledì 17 agosto 2016

Del piccolo esploratore

Io lo so che tu vuoi scoprire, esplorare e conoscere, ma non sei un cagnino furbetto. Non sei ancora sgamato. Non sei un montagnino che conosce i pericoli delle strade e ancor di più la cattiveria di alcune persone.

Io e te siamo bestiole da appartamento e le nostre strade non sono mai abbastanza sicure per camminarci in mezzo spensierati.

Corri con le zampine aperte, zampine da cucciolo pieno di entusiasmo. Corri con le zampette da ragazzino pieno di vita e ti allontani, ti fai chiamare fino allo sfinimento e in paese mi sa che ti conoscono tutti ormai. E conoscono pure me che ero riuscita a salutare solo 5 o 6 persone in quasi dieci anni che abbiamo la casa qui.

Inizi a conoscere i cagnetti dietro ai cancelli e irrompi come uno scellerato nei giardini, nei cortili e nelle case. Ma qui una pedata te la rifilano senza indugi. E io non voglio finire nei guai per aver pestato come l'uva chi ha anche solo accennato a darti una lezione.



Io cerco di non darlo a vedere, ma ho il cuore che mi esplode ad ogni macchina, ad ogni moto, ad ogni bici che ti sfreccia accanto. Pensa che inizio persino a pregare quando la tua sagomina nera diventa un puntino lontano.

Ma tu te ne freghi, perché la libertà inebria di incoscienza. E tu sei ubriaco di salite, pietre, prati e aria fresca.
Sei fradicio di vita ed esuberanza.
Sei pieno della gioia che infondono le avventure.
Sei affamato di movimento e spazio.
Sei folle di passione e insegui ogni singola traccia in cui puoi imbatterti con ostinazione.

Adesso dormi vicino a me, e ad ogni sogno che ti agita io ti posso accarezzare, rasserenare, convincere che non c'è nulla che non vada.

È che vorrei proteggerti sempre, ma non me la sento di snaturarti e costringerti in catene fatte di strisce di stoffa.

Almeno cerca di ricordarti che sei il mio primo ed unico cane. Ricordati che io sto imparando con te come funziona il tuo mondo e come funzioni tu.

Lo vedo da me che questa salopette mi sta proprio male, ma privarmi di questo ricordo per un pezzo di stoffa che mi fa sembrare un insaccato, significherebbe sminuire e insultare un istante fermato in modo prezioso. Un attimo rubato ad una giornata intensa e un po' affannosa.

Stasera prendo a calci l'insicurezza e il mio vizio malsano di sminuirmi, quindi, caro straccetto blu scuro preso da Primark, non tornerai a casa con me e condividerò lo stesso uno degli innumerevoli attimi di felicità che mi regala il mio Bastardino Delinquente.

E tu, Maledetto Puzzoletto, se non impari a tornare quando ti chiamo, te lo scordi di tornare in vacanza con me.

Insieme, da soli.

Quanta solitudine abbiamo affrontato insieme. Adesso è ora di guarire: nei boschi, nei prati, tra gli sconosciuti.

Insieme, da soli.

Come abbiamo fatto dal primo giorno di vita condivisa, quando allontanandoti dal tuo cuscino sei venuto sul divano a scegliermi e a dormire al sicuro tra le mie braccia.

Io non ti abbandono.
Tu non lasciarmi però.

domenica 14 agosto 2016

Della sera del 12 Agosto

Nel paesino dove abbiamo la casa c'è una chiesetta, e lì accanto c'è una piazza con le sue panchine e la sua fontana. Ma non c'è nemmeno un baretto, un circolino, insomma, non c'è niente se non il rumore dell'acqua e l'abbaiare dei cani in lontananza. E la piazza è sempre vuota, persino la domenica quando c'è la messa. Perché tutti di lì passano,  ma nessuno si prende il lusso di fermarsi.
Nelle strade di montagna i gatti se ne fottono di chi si fa gli sparoni in auto, in moto, in bici, in trattore o in camion e si piazzano in mezzo alle carreggiate, sdraiati come se fossero su un divano.
Nel cielo di stasera le nuvole sono lunghe, piatte, stirate. Sembrano sciarpe logore, ma anche ciabatte sfondate.
Ho litigato con Bloody oggi.
E mi sento triste.
E anche frustrata.
Mi sono seduta al buio del nulla della piazza, e mi sono messa di buzzo buono a guardare il niente, a respirare i moscerini e ad insistere nell'inumidirmi le labbra seccate dal sole e dal vento.
Mentre facevo la poetessa dei poveri, hanno iniziato a suonare le campane ed è un miracolo che non sia morta di infarto.
Mi aspetta una salita ripida e avere un cane che tira - più di un pelo di non si può dire cosa - mi farà comodo.
Da qui le stelle sembrano più vicine e limpide, perché non c'è molta luce ad imbrattarle. Ma io non credo più ai desideri riposti nell'incandescenza che fa mettere i nasi all'insù. Non credo nei baci dati sotto al vischio, alle mutande rosse del veglione, alle candeline da soffiare in una volta sola, al tre d'amore, al sale e l'olio che portano disgrazie non credo e nemmeno più al topolino dei denti.
Credo negli occhi stanchi e nei fazzoletti stropicciati tenuti in tasca, che non si sa mai. Credo che il male vinca sempre sul bene e credo che quando pensi di aver toccato il fondo è lì che l'inferno appare per davvero e inizia il puttanaio.
Credo nelle promesse tradite e nei sorrisi di circostanza.
Credo nel sadismo e nei vetri rotti.
Però credo ancora nella mia torta di mele e in quel cazzone del mio cane. Credo in quello che canto mentre ascolto la musica che ho in macchina. E credo nei budini. E nei capillari rotti. E nei coglioni girati. E nelle bestemmie che nascono dal cuore e che si fermano tra i denti.

Degli incontri casuali

Prendo la macchina e chiedo a Bloodino di accompagnarmi nei boschi. Tra tutti gli imbranati della Terra io sono da medaglia d'oro.  In piano ho sempre le scarpe da trekking, nei boschi e in salita le Vans Old Skool.
Camminiamo lungo un percorso vita tenuto così bene da farcela rischiare almeno un paio di volte, la vita intendo.
Ma con le scarpinate ci stiamo prendendo gusto e il mio cagnino è stupendo quando esplora felice e sicuro di sé.

Abbiamo trascorso un'ora di saliscendi tra rovi, foglie secche, frustate di rami e pietre sulle quali giocarsi le caviglie. Entrambe. Contemporaneamente.

Scendiamo, riprendiamo il sentiero che porta alla macchina, mi ricordo del cartello che segnala una strada chiusa, senza protezioni. Chissà dove mi porta. Le gambe non sono ancora abbastanza stanche. Ricominciamo a salire.

Duecento metri e trovo soltanto una casa, una donna che guarda i fiori, due cagnini che abbaiano. Meglio filarsela. I valtellinesi non hanno proprio dei bei modi. Spiego alla donna, un'anziana coi capelli tinti da poco del nero "toglimi dieci anni se puoi", che mi trovavo lì per caso e che cercavo una via diversa dalle solite per lasciare il cane libero di correre.

Iniziamo a parlare. Ha una casa bellissima, una villa come quelle che costruiva il marito in Svizzera, una di quelle coi balconi in legno con le incisioni decorative, una di quelle con le tendine inamidate, i mobili rustici e le foto senza polvere.

Mi racconta la sua vita con dignità e contegno dei montanari, ma senza quella diffidenza maliziosa di chi vuole farti fesso. Sembra molto sola.  E stanca. Ma è  ospitale.

- Tu hai studiato perché parli bene
- Ti voglio dare la ricetta del risotto con le zucchine. E tu ce l'hai una bella ricetta col basilico?
- La vita è un destino che non puoi comandare. Io certe cose me le sogno e poi si avverano.
- Ma poi torni a trovarmi la prossima volta che passi di qui?

La ricetta di una pasta con base di pesto, melanzane, pomodorini e pecorino ce l'avevo. E lei se l'è voluta scrivere. Annotava piano, perché la compagnia che ti regala una sconosciuta che ha tempo a sufficienza per sentire accenni di una vita di felicità e tragedie, mica la si può avere ogni giorno.

E mentre era intenta a segnare nero su bianco i passaggi, gli ingredienti e le dosi, io sentivo già il bisogno di raccontare della Signora Elena - che lavorava nella trattoria Milvia per andare a Morbegno - mi son detta "O le faccio una foto o mi prenderanno per la cazzara in vena di condividere balle".

Mi ha lasciata con parole che mi hanno fatta riflettere, ma anche sorridere. Le lascio qui, perché non le voglio dimenticare:

- Vedi come sei fortunata? Non sei sposata e non hai figli. Puoi costruire tutto da zero.
- Stai con gli amici, viaggia, prenditi cura di te. Non uscire con chi capita, non andare a ballare. Perché il destino arriva sempre e solo quando vuole lui. E se uno ti vuole bene. Lui ti trova.

Ho sgranato gli occhi, un po' in soggezione, forse anche un po' desiderosa di dare credito a quello che mi diceva e ho sorriso.

Mi sono sentita dire che ero bella e che sembravo brava e buona. Chissà se mi si legge in faccia anche quanto sia scema. E quanto male faccia ancora ricordare.

Le ho promesso di portarle un pezzo di torta e di tornare a trovarla. E voglio essere di parola.

mercoledì 10 agosto 2016

Di chi non pagherà mai.


Medical Surity:
You Can Get PTSD From Staying In An Emotionally Abusive Relationship

Stop. Just stop asking why a woman is so stupid and so weak when she stays in an abusive relationship. There’s no answer you can possibly understand.

Your judgment only further shames abused women. It shames women like me.

There was no punch on the very first date with my ex. That’s not normally how abusive marriages start. In fact, my first date was probably pretty similar to yours: he was charming, he paid attention to me, and he flattered me.

Of course, the red flags were there in the beginning of my relationship. But I was naïve, probably much like you were in the beginning of your relationship.

Except my relationship took a different turn than yours.

An abusive relationship takes time to build. It’s slow and methodical and incessant, much like a dripping kitchen faucet.

It begins like a little drip you don’t even notice — an off-hand remark that is “just a joke.” I’m told I’m too sensitive and the remark was no big deal. It seems so small and insignificant at the time. I probably am a little too sensitive.

I occasionally notice the drip but it’s no big deal. A public joke made at my expense is just my partner being the usual life of the party. When he asks if I’m wearing this dress out or whom I’m going with, it only means he loves me and cares about me.

When he tells me he doesn’t like my new friend, I agree. Yes, I can see where she can be bossy. My husband is more important than a friend, so I pull away and don’t continue the friendship.

The drip is getting annoying, but you don’t sell your house over a leaky faucet.

When a playful push was a little more than playful, I tell myself he didn’t really mean it.

He forgets he’s stronger than me. When I confront him in yet another lie he’s told, he tells me I’m crazy for not believing him. Maybe I’m crazy … I’m beginning to feel a little crazy.

I begin to compensate for the drips in my relationship. I’ll be better. I’ll be a better wife. I’ll make sure the house is clean and dinner is always prepared. And when he doesn’t even come home for dinner, I’ll keep it wrapped and warmed in the oven for him.

On a night I’m feeling feisty, I feed his dinner to the dog before he comes home. I’m not feeling quite as smug well after midnight when he does show up. I quickly get out of bed and go to the kitchen as he yells at me to make him dinner.

Waking me from sleep becomes a regular occurrence. I no longer allow myself deep, restful sleep. I’m always listening and waiting.

The drip is flowing pretty strong now. I’m afraid to put a bucket under it and see how much water I’m really losing. Denial is setting in.

If I hadn’t said what I did, he wouldn’t have gotten so mad. It’s my fault; I need to just keep quiet. I should know better than to confront him when he’s been drinking.

He’s right — I really am an ungrateful bitch. He goes to work every day so I can stay home. Of course he needs time to himself on the way home from work each day.

On the rare occasion I do meet with my friends, I rush to be home before him. I never ask. I mustn’t inconvenience him.

We attempted counseling. Although neither of us was totally honest about why we were there, the counselor was open with us about their concerns.

I’m working so hard to be the perfect woman and have the perfect family that I don’t take the time to notice there’s water spilling on to the floor.

I know what will make this better. I’ll get really active outside the home but of course, I’ll still take care of everything in the home and never burden him. And I’ll never dare ask for help.

I work very hard to present the front of a perfectly happy family.

I’ve begun to drop subtle hints to the other people but when they confront me I adamantly deny it. No, everything is great, I insist. I point to all the happy family photos I post to Facebook as evidence.

I’m not sure which scares me more: the fear that others will find out my secret, or that he will find out I told the truth about our us. I realize I’m now afraid of him.

And then one day, I wake up and realize the house is flooding. My head bobs under the water. I’m scared.

Oh dear God, what have I done? How did we get here? Who have I become?

I want to leave.

Where would I possibly go? And if I do go somewhere, what will I do? How will I afford living on my own?

He’s right — I have no skills to survive on my own.

“What, you want to leave and go whore around?” he yells to me. “I always knew you were a slut.”

He’s a master at deflection. His actions are no longer the focus; I’m the one on trial now.

I’m no longer the woman I was on our first date. I’ve become timid and weak in front of him. I feel defeated. I chose this man. It’s my fault.

With every breath I take, it’s my duty to keep the dog safe and keep my life together. It’s the only life I’ve known for the last two years.At this point, I don’t know how to do anything else.

I stay.

The flood continues. My head bobs under a second time.

On a typical anger-filled evening, I say enough is enough and I decide to fight back. But even in his stumbling drunken stupor, he’s stronger than I am.

I see the look in his eye as he hovers over me.

“Go ahead and leave,” he sneers to me. “But the dog stays here.”

My retreat that night is all it takes to turn the faucet on all the way and force me to tread water, if not for my life, then at the very least for my sanity.

Despite my best attempts, my secret has been exposed. I can’t just up and leave like well-meaning friends tell me to. It’s not that easy.

I’m one of the lucky ones. I’m no longer in that relationship, yet my scars run deep.

Abuse doesn’t always manifest as a black eye or a bloody wound. The effects of psychological abuse are just as damaging.

I stayed for the sake of my love and dreams. Now, I blame myself for the effects staying may possibly have on me.

Why did I stay? I stayed because I was isolated; I was sleep deprived; I was told and I believed I was worthless; I was worn down from constantly being on guard for the next attack.

I stayed because I was more afraid to leave.


Source: http://www.yourtango.com/2015276377/you-can-get-PTSD-from-psychologically-abusive-relationships

domenica 31 luglio 2016

Di quello che è successo

E poi è successo che, di ritorno da Las Vegas, sia partita anche per l'Olanda e che sia riuscita a rendere costante una collaborazione professionale che ora mi impegna ogni giorno dal lunedì al venerdì.

E poi è successo che abbia sentito la voglia e spesso il bisogno di scrivere, ma che mi sia imposta di non farlo - se non via social - per evitare di recriminare sul solito dolore, per non dare al peggio di me la possibilità di avere la meglio e per non continuare a infilzare lame dentro a ferite che non ne volevano sapere di rimarginarsi.

E poi è successo che mi sia ritrovata a perseguire l'equilibrio, la sensatezza, la pacatezza, perché convivere con aspetti del mio carattere che mi sfiniscono quanto delle montagne russe di entusiasmo e disperazione, mi stava logorando.

E poi è successo che abbia deciso di avere cura di me stessa come se si trattasse di qualcuno che amo, ritrovatosi in una condizione di grave difficoltà, e mi sono accorta di quanto poco basti per accarezzarsi anziché infliggersi nuove mortificazioni.

E poi è successo che persino la pelle più sottile e delicata si sia ispessita e che abbia ricominciato ad alzare la testa, certa del fatto che solo credendoci, avrei iniziato a venirne fuori.

E poi è successo che mi sia ritrovata a provare sdegno, perché i filtri spessi dell'amore, o chi per esso, rendono ciechi, stupidi, insensati e anche parecchio ritardati.

E poi è successo che mi sia ritrovata a piedi nudi nell'erba, con la testa bagnata al sole, con il viso senza trucco e le guance asciutte. E allora è successo che abbia trattato me stessa con rispetto e benevolenza, scacciando le colpe insensate e le malinconie di film proiettati soltanto tra le lacrime dei miei occhioni miopi dalle ciglia troppo lunghe.

E poi è successo che mi sia tornata la voglia di dire.
E anche quella di raccontare.
Ma ancora di più, quella di ricominciare ad essere.

mercoledì 22 giugno 2016

Dei Souvenir da Las Vegas: una guida ai 10 gadget indispensabili. E pure trash.


Quali sono gli oggetti da riporre in valigia dopo un soggiorno a Las Vegas? In che modo orientarsi sugli acquisti e sui souvenir che verranno regalati a parenti e amici? Ecco la mia guida per lo shopping, oggetti selezionati meticolosamente, tra cui quello che vi ritroverete tra le mani a distanza di sei mesi dal vostro ritorno e che vi farà dire a gran voce: Ma, porca miseria, me lo sono comprato veramente?!

Poco prima della partenza mi sono ritrovata a scrivermi con la mia ex compagna di Università, nonchè cara amica, Stefania e lei - nel raccontarmi della propria esperienza a Las Vegas - mi ha accennato ad una caratteristica dei negozi in cui ci si imbatte in ogni dove - e a qualsiasi ora del giorno e della notte - in quel dell'oasi luccicosa del Deserto del Nevada, ovvero: sono tutti indistintamente rivenditori di paccottiglia.



Con il termine paccottiglia intendeva anticiparmi che mi sarei imbattuta in una serie inenarrabile di gadget a basso costo, probabilmente made in China, e marchiati in modo seriale dalla scritta "Welcome to Fabulous Las Vegas". Ecco, non avrebbe potuto ringalluzzire meglio la mia curiosità e, di pari passo, nutrire la mia smania di rendere tutto quel ciarpame mio, non appena avrei messo piede sul suolo del paese a stelle e strisce!

Da sempre sono un'amante dei gadget, ma negli ultimi due anni - diamo a Cesare quel che è di Cesare, anche se meriterebbe solo calci sui denti - questa tendenza si è trasformata in una vera passione e, conseguentemente, si è raffinata sempre più. Se avete una predilezione per i memorabilia, sappiate che a  Las Vegas sarete a casa. E se avete tendenze rockeggianti, ancor di più rock'n'roll, avrete di che riempire i vostri bagagli.

Ma veniamo alla lista degli oggetti trash e indispensabili, quelli senza i quali potreste sentirvi monchi, zoppi o anche soltanto insanabilmente infelici.


1. Souvenir da casinò.
Fiche usate, mazzi di carte sui quali non è più possibile puntare, ma anche dadi. Quali migliori amuleti per attirare quel po' di fortuna che fa sempre tanto comodo a tutti noi? Io ho preso le carte dell'Hard Rock Cafe, ma fate attenzione quando le comprerete: i jolly potrebbero essere stati rimossi!

2. Bicchierini da shot, o da liquorino. Vedete voi come chiamarli, ma i vostri digestivi saranno contenuti in bicchieri senza rivali. Io ho assemblato un set da sei pezzi, per un totale di 5.94 $. Perché certe volte sognare costa così poco che è un crimine non farlo. Nice and easy, huh?

3. Dadi di peluche
Da far penzolare dallo specchietto retrovisore ed esibire gloriosamente. Anche perché se una macchina ha l'ambizione di distinguersi da tutte le altre, non deve semplicemente essere una bomba su ruote e avere una carrozzeria da sogno o un motore ruggente, ma può anche essere la nostra amata utilitaria, customizzata con almeno un adesivo, almeno un deodorante buffo e nauseante e almeno una decorazione capace di oscillare tra l'improponibile e il redneck, il vergognoso e l'imbarazzante, ma anche tra il kitsch e la tamarrata.


4. Snowballs: palle di neve per tutte le stagioni
Perché confinare un oggetto decorativo all'espozione natalizia quando lo si può gustare durante tutto l'arco dell'anno? Le palle di neve più tipiche riportano il cartellone che dà il benvenuto all'ingresso in città oppure miniature della città stessa. Quello che ho scelto per me è una fusione tra simboli delle carte e l'insegna famigerata, piazzata in ogni dove. Mi è capitato spesso di capovolgere la mia snowball, di guardarmela e di mettermi a sorridere, perché spesso più un oggetto è privo di qualsiasi utilità, più lo ho a cuore.

5. Magliette 
Indispensabili per dar sfoggio della vostra avventura al rientro. Quella che mi sono regalata è apparentemente sobria: nera, di buona fattura, con un bel logo della città, copiosamente glitterato. Ma il bello arriva voltando le spalle, perché lungo tutta la schiena si dispiegano un bel paio d'ali. Anche il demonio era un angelo pentito, o no?


6. Magneti 
Ce ne sono di ogni tipo, dimensione, colore e prezzo.  Solitamente, la spesa supera di poco il dollaro. Quelle che ho deciso di regalare - come segno di buon auspicio - sono delle maxi fiche, chiamate Lucky Chip, che in base al colore riportano l'ammontare del valore della puntata. Per ora sono state gradite tutte quelle che ho potuto recapitare.
Per quanto riguarda gli acquisti di natura personale, me ne sono concessa qualcuna un po' più particolare, tra cui il retro del pick up (detto truck) di Toby Keith e una donnina provocante sullo sfondo di un asso di picche (che mi ha subito riportato alla mente l'Ace of Spades del compianto Lemmy).

7. Mug
Dai, non si può andare in vacanza e non riportarsi a casa una tazza, che sia da tè , da caffè, una jar, una roba termica o un contenitore adatto alle bevande fredde. Chiunque voglia essersi sentito a casa in America, dovrà portarsi a casa uno di questi ricordi fondamentali. La mia è abbastanza economica e rigorosamente appariscente, e con lei sono riuscita a coniugare una bassa spesa a qualcosa che sem-pli-ce-men-te adoro!

8. Burro Cacao
Sì, avete letto bene. Senza burro cacao sarà dura sopportare le interminabili ore di volo per e dagli USA, ma anche mentre sarete a passeggio per la Strip, la temperatura torrida farà reclamare alle vostre boccucce un po' di idratazione. Qualcuno di voi potrebbe anche mugugnare: Beh, ma io me lo porto da casa, allora.
E a ciò ribatto senza indugio: rinunciando così ai gusti Piña Colada, Vegas Cherry o Martini? E rischiando così di non essere gli artefici della felicità delle amiche più care? Tsè!



9. Portachiavi e apribottiglie
Solo apparentemente questi sono i regali dell'ultimo minuto, in realtà rappresentano un dono impersonale, presumibilmente utile, non ingombrante e dallo stile più disparato, perfetto per ogni tipo di ricevente. Io credo di essermene presa qualcuno di troppo, ma avrò modo di usarli, riciclarli o anche solo conservarli per riguardarli ogni tanto!

10. Luggage tag, etichette plastificate per bagagli
Da riservare al vostro bagaglio a mano, perché poter avere tra le grinfie una targhetta così carina, vi sara costato, probabilmente, un occhio della testa e una bella trasvolata oceanica.
Io me ne sono concessa due, perché ero indecisa sul colore, ero troppo stanca per fare qualsiasi forma di acquisto e, nel dubbio, ho scelto di aggiungere un articolo in più in cassa, pur di scongiurare qualsiasi forma di pentimento postumo.


Nota 1
Las Vegas non è a misura di animali domestici 
Un cane rischia - detto senza mezze misure - di morire se esposto alle temperature già intollerabili per noi, di asfalto, strade, ma anche di condizionatori impostati in modalità Viva La Siberia!
I negozi non sono orientati verso la vendita di prodotti per cani o gatti e tra quel poco che si trova ci sono collari dal dubbio gusto oppure semplici bandane. E io ho preso al mio Bloody questo straccetto di stoffa rossa, che, pur essendo senza infamia e senza lode, è di una tonalità vivace ed è corredato da una scritta a prova di sorriso. E prima o poi gliela farò indossare durante una bella passeggiata, magari non quando si suda da fermi, perché va bene la simpatia, ma il caldo non è uno scherzo e un colpo di calore ancora meno.


Nota 2
Addobbi fuori stagione
Prima o poi avrò di nuovo un mio albero di Natale, un bell'alberello che nessun prepotente deciderà di tenersi assieme al resto di ogni oggetto acquistato in comune. E quel Natale, esporrò questa decorazione - tanto buffa quanto adorabile - perché un Babbo che riceve un bacio da una sventola di ballerina, non potrà far altro che essere ben augurante.
E se mai non dovesse riuscire ad essere un portafortuna, so per certo, che riporterà alla mia mente un ricordo felice: quello del primo viaggio della mia nuova vita.

sabato 18 giugno 2016

Del centesimo post su Dramas and Cookies



Un momento da ricordare. Un momento in cui fermarsi, prendere fiato, guardarsi attorno e capire che cosa stia succedendo, che cosa sia già successo, che cosa non debba mai più succedere e capire in che cosa potrei impegnarmi per far succedere quello che ancora aspetto.

Un vassoietto di sushi, portato amorevolmente a casa per cena. Io il sushi lo mangio con le bacchette, ma non sono capace di usarle. Ho comperato un pupazzetto che le tiene unite per l'estremità superiore, eppure - nonostante la Lidl si sia messa d'impegno per togliermi almeno una difficoltà -risulto ancora goffa e imbranata davanti ai bei rotolini di riso gustosi e colorati. E quindi partiamo da questa inquadratura: una tavola imbandita, tre adulti intenti a cenare, un cagnetto che scodinzola e bacchette che non vogliono saperne di collaborare con la consumazione del mio pasto.

Parlo con i miei di un nuovo viaggio che mi è stato proposto, questa volta un'avventura on the road in nome di un'Amicizia che da vent'anni è parte della mia vita. Un viaggio in auto, verso Nord, un viaggio per vivere qualcosa che da sempre ci ripromettiamo, ma che le circostanze e le gabbie in cui mi sono voluta rinchiudere non hanno mai reso possibile. Un viaggio che fa parte di quel percorso di liberazione che voglio che mi conduca ad una consapevolezza di me, della quale non mi sono ancora mai saziata in tutta la vita.

Non chiedo mai pareri, non chiedo permessi, solitamente annuncio, a decisioni prese o cazzate fatte, quale sia stato il mio ultimo colpo di testa e metto un po' chi mi capita a tiro con le spalle al muro. Prepotenza? No, giuro, non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello di essere prepotente. E' che o faccio così o rimango immobile nei tentennamenti e nelle insicurezze che mi impediscono di prendere qualsiasi decisione.

Parlando a tavola ho detto al mio papà "Tu cosa ne pensi?" e lui, bonariamente come sempre, ha esordito con la frase più naturale del mondo, parole che mi hanno rifilato uno schiaffone a cinque dita in pieno volto "Ma Erica, hai quasi quarant'anni cosa vuoi che dica io?".
Minchia. 

Puttana eva. 

Ma chi?
Ma come?
Ma che cazzo?!
Quasi quarant'anni.


Ma io non li ho quasi quarant'anni, non posso averli: vi siete sbagliati. Papà, ti hanno fregato, la memoria ti fa cilecca, di sicuro hai preso un granchio. Papà, fai qualcosa, cazzo: io non posso essere ad un passo dal baratro dei q-u-a-r-a-n-t-a.

Da una frase così innocente è nato un dramma personale, perché se questo blog si chiama Dramas and Cookies è evidente che un filo di verità sia contenuta nel nome che ho deciso di attribuirgli. Ecco, allo scoccare dei cento post su questo diario, mica poi tanto segreto, alla soglia dei quaranta, forse è il momento di annotare quello che non ho, perché quando i post saranno duecento ho intenzione di giungere ad un bilancio nettamente diverso e concretamente più positivo.

Io non ho costruito una famiglia mia, ce l'ho messa tutta e ho toppato in pieno, e troppo spesso temo che sia troppo tardi per riprovarci.
Io non ho nessun essere umano da amare come si ama qualcuno che fa battere il cuore, anzi, a stento mi tollero allo specchio, figuriamoci come possa pormi nei confronti di bipedi in genere.
Io non ho un lavoro fisso e continuativo, non ho entrate solide e gratificanti, sebbene della costellazione di lavori che svolgo, non ce n'è uno che non mi appassioni.
Io non ho una casa e quindi non ho ferraglia di chiavi che aprano una serie di portoni e porte che mi conducano ad un angolo di mondo che ho saputo mettere in piedi con le mie mani.
Io non ho un progetto definito da perseguire, perché vivo in funzione del rimettermi in piedi, dell'imparare a non piangere sempre, dello sforzarmi a non lasciare che tutto vada alla deriva. E non è che abbia chissà quante energie avanzate in questo bel periodo da dimenticare.
Io non ho fiducia negli altri, ma ne ripongo solo nella mia famiglia e in una manciata di amici che mi tengo stretta a due mani, forse stringendo persino troppo.
Io non ho solidità e posso solo contare su quella che mi viene offerta senza riserve, in palmo di mano.
Io non ho ancora capito se da certe rovine se ne venga davvero fuori o se si debba fingere per sopravvivere oppure sopportare pazientemente fino a quando il tempo non avrà fatto il suo corso.
Io non so come abbia fatto a mettere nero su bianco questa lista.


Stamattina, mentre Bloodino mi portava a passeggio ho guardato i necrologi e, davanti all'edicola sulla via per Desio, ho sentito una lacrima rigarmi il viso all'idea di me sola, con nessuno al mio funerale, con nessuno che si premurasse di dire "La stronza è schiattata".
E mi sono sentita sollevata, alleggerita, confortata. Perché lo stesso pensiero io l'avevo visto al cinema, perdendomi nel destino favoloso di  Amélie Poulain. E - sebbene lei fosse drasticamente più giovane - la sua vita, all'improvviso è cambiata, complici una serie di mirabolanti avventure nelle quali ha deciso di imbattersi, ostinarsi e crederci.

Otis Redding cantava, gridava e straziava con la sua I've got dreams to remember. Ecco, io, forse sto ricominciando a ricordare i sogni che avevo, quei sogni che ho dovuto, che ho voluto scagliare via lontano perché troppo impegnativi, perché troppo grandi, perché incompatibili con le pretese di ciò in cui avevo deciso di imbattermi.

I sogni che ho maltrattato, ad uno ad uno, mi stanno perdonando e mi stanno restituendo della consapevolezza, della nostalgia buona che mi infonde desiderio di non lasciare che tutto resti incompiuto.

Ballerò sola ancora a lungo, quel voltastomaco inflitto dal genere umano non fa che incedere giorno dopo giorno, ma non è detto che intanto io non possa almeno godermi la musica, fantasticare su quel che vedo sfrecciando per la strada, nutrirmi di quell'universo di dettagli in cui i miei occhi sanno perdersi, Per continuare a raccontare, perché almeno l'amore per lo scrivere, nessuno è mai riuscito a comprometterlo.

Non è un bilancio positivo e prenderne atto è una coltellata, ma non lo stilo nella disperazione delle menzogne, ma nella consapevolezza di aver scelto di essere libera.

Milvina Drama Queen, Erica: 100 post e quasi 40 anni.
Ma col cavolo che li dimostro, dai!

giovedì 16 giugno 2016

Di Las Vegas (che mi ha resa di nuovo Viva)




Mi ero ripromessa questo: prima scrivi gli articoli, li invii al giornale e poi, semmai, ti metti di buzzo buono e ti dedichi ai ricordi legati a Las Vegas. Una ricompensa da aspettare e poi riscuotere gioiosamente? Oppure un invito senza mezze misure a non procrastinare? Per dovere di cronaca mi preme comunicare, in modo piuttosto compiaciuto, che gli impegni sono stati portati a termine, le scadenze sono state tutte rispettate e ora posso mettermi finalmente a raccontare del mio breve viaggio.
Ascolto Toby Keith, scoperto in quella che chiamavo casa fino a tre mesi fa. Lui è stato un compagno di rare notti romantiche che avevano le sembianze di un bella fiaba - rivelatasi poi il più detestabile degli incubi - ma ancor di più compagno di pulizie affannate, faccende domestiche imbronciate, stirate solitarie e azioni tanto devote quanto ripetitive, eppure piene di illusioni cretine. Illusioni accuratamente tradite con sadismo da parte di quello in cui venivano riposte, illusioni che credevo dovessero essere il più importante degli scopi della vita. Un po' come se, sistemando ossessivamente la casa, anche il resto e anche lui si sarebbero sistemati.


Ho deciso che Mr. Keith sarebbe stato la colonna sonora di questi pochi giorni oltreoceano, perché dopo tutto quello che ho dato, perso e dovuto regalare, invano, avevo bisogno di tenermi almeno qualcosa di buono. Sono da poche pretese, ma non a buon mercato ed è per questo che mi approprio di una manciata di canzoni fatte di quel country che sapeva tenermi compagnia incoraggiandomi, avvolgendomi in atmosfere di una vita agognata da sempre, una vita che chissà se si farà mai anche solo sfiorare dalle mie dita ruvide.



Avevo bisogno quanto l'ossigeno di andare via, di allontanarmi, di scappare, per certi versi. Anche se solo per poco.
Bramavo una pausa e quella che mi hanno offerto è stata una benedizione - estenuante eppure incredibile - durante la quale ho potuto fare un po' di conti con me stessa, riappropriandomi di quella parte della mia natura che devo aver buttato via assieme al vetro delle  bottiglie che mi hanno svuotato prima l'anima poi la voglia di vivere man mano che il tempo trascorreva.
Ma il vetro si ricicla, e così ho fatto io con me stessa. E nella Città del Peccato ho ritrovato autostima, amor proprio, persino affetto per quella me così rincoglionita e cazzona da avermi rovinato la vita, ma non il resto della vita.


Las Vegas è luci colorate sempre accese, eccessi in parte inconcepibili e in parte comici. Las Vegas è balordi che bruciano alle macchinette tutto quello che hanno in tasca, accanendosi, e non badano che sia mattina, pieno giorno o notte inoltrata. Las Vegas è mazzieri che prima sbadigliano e poi ti sfoggiano il più grande dei sorrisi se gli passi vicino, perché lavorare a percentuale - e a mance - non credo che faccia arrivare sereni a fine settimana, quando è giorno di paga. Las Vegas è negozi aperti ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni su sette, è contrasti così forti da straziare, assurdità che ti fanno vergognare di aver distolto lo sguardo per non vedere e, sotto certi aspetti, è impotenza allo stato puro. Las Vegas è ragazzi rassegnati, sporchi, in branco, ubriachi da far schifo, impolverati, buttati a terra accanto alle loro scritte su pezzi di cartone buone giusto a rimediare qualche spicciolo, ma ragazzi che se ti vedono con un bel vestito, ti sorridono - sdentati - e ti regalano una parola buona, dolce, premurosa, magari un po' grossolana, però bonaria e rispettosa: anche se tu non hai nulla da lanciargli in cambio.


Las Vegas è turisti vistosi, affannati, sudati, cafoni, prepotenti, curiosi, vestiti di colori sgargianti in tagli di abiti che non perdonano nessuno dei vizi che si sono concessi negli anni; turisti seriali, desiderosi di accumulare, di portare a casa, di avere sacchi pieni di compere da sfoggiare: re e regine dallo scettro da selfie sempre pronto ad essere allungato, poco prima di scattare la milionesima foto-cheese. Las Vegas è prostitute appariscenti, bellissime, ammiccanti, generosamente disponibili ai tavoli da gioco, eppure quelle stesse donne - prima dell'alba - tornano a essere soltanto ragazze stanche col trucco colato che, ciondolando su tacchi improbabili, se ne tornano a casa dopo ore di lavoro, presumibilmente da voltastomaco. Las Vegas è aria condizionata con temperatura siberiana anche a cielo aperto (perché vaporizzata) e nei parcheggi; è lusso ostentato, cerimoniali da film muto di inizi Novecento e costruzioni mastodontiche, sfacciate, plasticose, eppure belle come le attrazioni di un immenso luna park.


Las Vegas è tassisti cubani in cerca di un briciolo di umanità e di scambio di voci, mentre ti accompagnano in Cadillac Escalade verso l'aeroporto, ma anche tassisti di origine filippina che dalla loro Lincoln, ti elencano meticolosamente i nomi di ogni singolo hotel, resort e casinò e - ad ogni semaforo - ti ripetono come una cantilena almeno un paio di aneddoti che ti fanno sorridere e annuire in segno di approvazione, stupore ma spesso anche non-ho-capito.


Las Vegas è l'America che mi mancava fino a stare male, l'America che non ero ancora riuscita a vivere se non negli intenti, l'America che non mi sarei mai potuta permettere di rivedere in tempi brevi, l'America che avevo dimenticato e che ho ritrovato: l'America da sola, per la terza volta.


Las Vegas è stata il riappropriarmi del tempo secondo i miei bisogni, secondo i miei desideri, secondo le mie inclinazioni e secondo i miei ritmi, i miei soli ritmi. Ho adorato non dover rendere conto a nessuno, non dover svegliare nessuno, non dover pregare nessuno di non esagerare, non dover aspettare che ci si alzasse dal tavolo di un locale mentre sentivo di perdere tempo prezioso per vedere, toccare, sentire e prendere a due mani un pezzo di mondo nuovo e sconosciuto. E ho constatato che nella vita che credevo sarebbe durata per la vita, non avrei mai potuto godere di tutto quello di cui ho fatto esperienza in modo fiabesco, volutamente appassionato, genuinamente pieno di entusiasmo come ho fatto da sola.

Las Vegas mi ha ricordato quanto io possa essere in pace con me stessa nonostante ci possano essere migliaia di specchi a circondarmi, mi ha mostrato che non sono invisibile, che non sono del tutto sbagliata e che non sono nemmeno così ingombrante, inutile, misera, come qualcuno voleva che diventassi, per godere del male che mi infliggeva. Questa città così viva e travolgente, che ho definito affettuosamente la Rimini d'America con un' Amica, si è presa cura di me come una buona zia, come chi sceglie di averti a cuore e di accudirti senza chiederti niente in cambio, se non rivederti sorridere non appena ne hai le forze, la voglia, lo slancio.

E allora Viva Las Vegas, luogo dove ho deciso di sposarmi in gran fretta con le mie tettone, i miei occhioni, il mio sorriso grande e la mia lingua biforcuta, con le mie gambe e con la mia pancia, con le mie braccia sempre più piene di disegni e piedi con le unghiacce smaltate, ma sempre troppo stanchi.

Viva Las Vegas! Fiabilandia nella quale ho promesso Amore Eterno - davanti a Dio, al cielo più grande che ci sia, ad Elvis, ai Kiss mezzi nudi in strada, a Topolino e ad ogni singola vescica che mi è venuta miglio dopo miglio - ai miei sogni appena rifioriti e a come sono, ai miei sbagli, ma ancora di più al credere che il meglio mi stia aspettando e debba ancora arrivare. Che non tutto sia perduto, che abbia solo smarrito la via, ma che sappia esattamente come ritrovarmi .

Che Viva la luccicosa Las Vegas
e che sia gentile con voi come lo è stata con me se potrete, se vorrete mai andarci, perché in me il suo ricordo viva, pulsi e gridi sempre tutto quello che non sei riuscito a spegnere, distruggere e far morire.

Persino il più lacerato dei cuori può essere ricucito e a me non mancano né ago, né filo, né mani per rimetterlo insieme.
I know your head is turning
I know your heart is burning
Girl, you gotta listen

Don't you know he ain't worth missing
(Toby Keith)