giovedì 16 giugno 2016

Di Las Vegas (che mi ha resa di nuovo Viva)




Mi ero ripromessa questo: prima scrivi gli articoli, li invii al giornale e poi, semmai, ti metti di buzzo buono e ti dedichi ai ricordi legati a Las Vegas. Una ricompensa da aspettare e poi riscuotere gioiosamente? Oppure un invito senza mezze misure a non procrastinare? Per dovere di cronaca mi preme comunicare, in modo piuttosto compiaciuto, che gli impegni sono stati portati a termine, le scadenze sono state tutte rispettate e ora posso mettermi finalmente a raccontare del mio breve viaggio.
Ascolto Toby Keith, scoperto in quella che chiamavo casa fino a tre mesi fa. Lui è stato un compagno di rare notti romantiche che avevano le sembianze di un bella fiaba - rivelatasi poi il più detestabile degli incubi - ma ancor di più compagno di pulizie affannate, faccende domestiche imbronciate, stirate solitarie e azioni tanto devote quanto ripetitive, eppure piene di illusioni cretine. Illusioni accuratamente tradite con sadismo da parte di quello in cui venivano riposte, illusioni che credevo dovessero essere il più importante degli scopi della vita. Un po' come se, sistemando ossessivamente la casa, anche il resto e anche lui si sarebbero sistemati.


Ho deciso che Mr. Keith sarebbe stato la colonna sonora di questi pochi giorni oltreoceano, perché dopo tutto quello che ho dato, perso e dovuto regalare, invano, avevo bisogno di tenermi almeno qualcosa di buono. Sono da poche pretese, ma non a buon mercato ed è per questo che mi approprio di una manciata di canzoni fatte di quel country che sapeva tenermi compagnia incoraggiandomi, avvolgendomi in atmosfere di una vita agognata da sempre, una vita che chissà se si farà mai anche solo sfiorare dalle mie dita ruvide.



Avevo bisogno quanto l'ossigeno di andare via, di allontanarmi, di scappare, per certi versi. Anche se solo per poco.
Bramavo una pausa e quella che mi hanno offerto è stata una benedizione - estenuante eppure incredibile - durante la quale ho potuto fare un po' di conti con me stessa, riappropriandomi di quella parte della mia natura che devo aver buttato via assieme al vetro delle  bottiglie che mi hanno svuotato prima l'anima poi la voglia di vivere man mano che il tempo trascorreva.
Ma il vetro si ricicla, e così ho fatto io con me stessa. E nella Città del Peccato ho ritrovato autostima, amor proprio, persino affetto per quella me così rincoglionita e cazzona da avermi rovinato la vita, ma non il resto della vita.


Las Vegas è luci colorate sempre accese, eccessi in parte inconcepibili e in parte comici. Las Vegas è balordi che bruciano alle macchinette tutto quello che hanno in tasca, accanendosi, e non badano che sia mattina, pieno giorno o notte inoltrata. Las Vegas è mazzieri che prima sbadigliano e poi ti sfoggiano il più grande dei sorrisi se gli passi vicino, perché lavorare a percentuale - e a mance - non credo che faccia arrivare sereni a fine settimana, quando è giorno di paga. Las Vegas è negozi aperti ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni su sette, è contrasti così forti da straziare, assurdità che ti fanno vergognare di aver distolto lo sguardo per non vedere e, sotto certi aspetti, è impotenza allo stato puro. Las Vegas è ragazzi rassegnati, sporchi, in branco, ubriachi da far schifo, impolverati, buttati a terra accanto alle loro scritte su pezzi di cartone buone giusto a rimediare qualche spicciolo, ma ragazzi che se ti vedono con un bel vestito, ti sorridono - sdentati - e ti regalano una parola buona, dolce, premurosa, magari un po' grossolana, però bonaria e rispettosa: anche se tu non hai nulla da lanciargli in cambio.


Las Vegas è turisti vistosi, affannati, sudati, cafoni, prepotenti, curiosi, vestiti di colori sgargianti in tagli di abiti che non perdonano nessuno dei vizi che si sono concessi negli anni; turisti seriali, desiderosi di accumulare, di portare a casa, di avere sacchi pieni di compere da sfoggiare: re e regine dallo scettro da selfie sempre pronto ad essere allungato, poco prima di scattare la milionesima foto-cheese. Las Vegas è prostitute appariscenti, bellissime, ammiccanti, generosamente disponibili ai tavoli da gioco, eppure quelle stesse donne - prima dell'alba - tornano a essere soltanto ragazze stanche col trucco colato che, ciondolando su tacchi improbabili, se ne tornano a casa dopo ore di lavoro, presumibilmente da voltastomaco. Las Vegas è aria condizionata con temperatura siberiana anche a cielo aperto (perché vaporizzata) e nei parcheggi; è lusso ostentato, cerimoniali da film muto di inizi Novecento e costruzioni mastodontiche, sfacciate, plasticose, eppure belle come le attrazioni di un immenso luna park.


Las Vegas è tassisti cubani in cerca di un briciolo di umanità e di scambio di voci, mentre ti accompagnano in Cadillac Escalade verso l'aeroporto, ma anche tassisti di origine filippina che dalla loro Lincoln, ti elencano meticolosamente i nomi di ogni singolo hotel, resort e casinò e - ad ogni semaforo - ti ripetono come una cantilena almeno un paio di aneddoti che ti fanno sorridere e annuire in segno di approvazione, stupore ma spesso anche non-ho-capito.


Las Vegas è l'America che mi mancava fino a stare male, l'America che non ero ancora riuscita a vivere se non negli intenti, l'America che non mi sarei mai potuta permettere di rivedere in tempi brevi, l'America che avevo dimenticato e che ho ritrovato: l'America da sola, per la terza volta.


Las Vegas è stata il riappropriarmi del tempo secondo i miei bisogni, secondo i miei desideri, secondo le mie inclinazioni e secondo i miei ritmi, i miei soli ritmi. Ho adorato non dover rendere conto a nessuno, non dover svegliare nessuno, non dover pregare nessuno di non esagerare, non dover aspettare che ci si alzasse dal tavolo di un locale mentre sentivo di perdere tempo prezioso per vedere, toccare, sentire e prendere a due mani un pezzo di mondo nuovo e sconosciuto. E ho constatato che nella vita che credevo sarebbe durata per la vita, non avrei mai potuto godere di tutto quello di cui ho fatto esperienza in modo fiabesco, volutamente appassionato, genuinamente pieno di entusiasmo come ho fatto da sola.

Las Vegas mi ha ricordato quanto io possa essere in pace con me stessa nonostante ci possano essere migliaia di specchi a circondarmi, mi ha mostrato che non sono invisibile, che non sono del tutto sbagliata e che non sono nemmeno così ingombrante, inutile, misera, come qualcuno voleva che diventassi, per godere del male che mi infliggeva. Questa città così viva e travolgente, che ho definito affettuosamente la Rimini d'America con un' Amica, si è presa cura di me come una buona zia, come chi sceglie di averti a cuore e di accudirti senza chiederti niente in cambio, se non rivederti sorridere non appena ne hai le forze, la voglia, lo slancio.

E allora Viva Las Vegas, luogo dove ho deciso di sposarmi in gran fretta con le mie tettone, i miei occhioni, il mio sorriso grande e la mia lingua biforcuta, con le mie gambe e con la mia pancia, con le mie braccia sempre più piene di disegni e piedi con le unghiacce smaltate, ma sempre troppo stanchi.

Viva Las Vegas! Fiabilandia nella quale ho promesso Amore Eterno - davanti a Dio, al cielo più grande che ci sia, ad Elvis, ai Kiss mezzi nudi in strada, a Topolino e ad ogni singola vescica che mi è venuta miglio dopo miglio - ai miei sogni appena rifioriti e a come sono, ai miei sbagli, ma ancora di più al credere che il meglio mi stia aspettando e debba ancora arrivare. Che non tutto sia perduto, che abbia solo smarrito la via, ma che sappia esattamente come ritrovarmi .

Che Viva la luccicosa Las Vegas
e che sia gentile con voi come lo è stata con me se potrete, se vorrete mai andarci, perché in me il suo ricordo viva, pulsi e gridi sempre tutto quello che non sei riuscito a spegnere, distruggere e far morire.

Persino il più lacerato dei cuori può essere ricucito e a me non mancano né ago, né filo, né mani per rimetterlo insieme.
I know your head is turning
I know your heart is burning
Girl, you gotta listen

Don't you know he ain't worth missing
(Toby Keith)


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