mercoledì 6 gennaio 2016

Del papurott senza la bagiana




Sì, avete letto bene e se avete familiarità con la Brianza e il milanese in generale, non potrete fare a meno di sorridere e di incuriosirvi, come me, di fronte a questo dolcetto dell'Epifania.

La tradizione racconta che il Papurott Senza la Bagiana o Papurogio sia

"un antico dolce brianzolo che risale ai primi del novecento e che si consumava il giorno dell'Epifania. Una mamma che non aveva la possibilità di comprare regali o dolci ai suoi bimbi, alla vigilia dell'Epifania con quel poco che aveva in casa - farina e poco altro - modelló un impasto dandogli la forma di papurott cosicché anche i suoi figli potessero ricevere un dono il giorno successivo. Si tratta di un dolce povero il cui ingrediente principale è l'amore di mamma con l'aggiunta di pasta di pane, zucchero, marmellata e uvetta sultanina. Papurott significa bambolotto, senza bagiana invece senza sesso".

Un angioletto da mordere e condividere, un dolcino dal sapore antico, eppure mantenuto con perseveranza e volontà. Non esiste una ricetta ufficiale, ogni famiglia che ne mantiene viva la tradizione tramanda la propria versione segreta di generazione in generazione. C'è chi lo realizza con un impasto simile a quello di una veneziana, come i panettieri e le pasticcerie, chi lo prepara partendo da una frolla, chi osa e se ne concede una versione a base di sfoglia; poi c'è chi lo decora con una pipetta di caramello, chi lo cosparge di granella di zucchero o zuccherini, chi lo segna con della marmellata, insomma ogni famiglia ha il proprio papurott e solitamente questo pupazzetto viene regalato da mamme e nonne.

Un dolce semplice, adatto a tutti i bimbi e ancor più adatto ai bimbi che da decenni non lo sono ormai più, bambini dai capelli argentati, voci basse e mani incerte, ma occhi lucidi e profondi davanti a ricordi di farina e uova.



Non ho scritto e condiviso alcunché del mio Natale, non solo per pigrizia e indolenza, ma anche perché la quotidianità ha preteso esazioni inattese e gli imprevisti si sono fatti largo a discapito della normalità. Mi sono dedicata ai miei cari, per quel che ho potuto e sofferto di una malinconia densa e spessa, così gravosa da sembrare mollica di pane. Ho cucinato biscotti da regalare, ho decorato una casetta di pan di zenzero che abbiamo fatto a pezzi una sera a cena a casa di amici, ho glassato stelle e cuori presi all'ikea e li ho appesi ai nostri due alberi, sì perché quest'anno ne abbiamo voluti due.

Ho provato a prendermi cura dei miei genitori eppure qualcosa è mancato. È mancato lo spirito dei Natali passati, quelli in cui i giorni erano scanditi dalla famiglia e dal ritrovarsi. Mi sono mancati i miei zii e i miei cugini, mi sono mancati i rumori fragorosi durante una tombola o una partita a mercante in fiera. Mi è mancata la nausea da troppo cibo e i sapori che hanno senso solo se gustati attorno a un tavolo arrangiato e sedie strizzate l'una vicina all'altra. Mi sono mancate le pietanze che passi di mano in mano scottandoti le dita, rischiando di far cadere i piatti da portata, vedendo sparire sotto al naso quel pezzo che avevi puntato dall'inizio del giro dei commensali. Sono mancati gli incontri improvvisati tra carte luccicanti e aperitivi e sono mancati i rituali più consueti, quello che rende il Natale il Natale che dev'essere e non soltanto un altro Natale dal quale sopravvivere.

I buoni propositi per il nuovo anno si scontrano contro l'impellenza di tutto quello che deve arrivare, tutto quello che deve tornare, tutto quello che se ne deve andare per sempre, tutto quello che non ha più il permesso di avvicinarsi. Vorrei essere un'acrobata capace di saltare di trampolino in trampolino, di sfida in sfida, di rischio in rischio, ma è come se mi fossi rannicchiata così tanto da soffrire di un indolenzimento cronico, paralizzante, soffocante.

Intanto riprendo fiato, angosciata all'idea di privarmi delle lucine intermittenti e degli addobbi, del profumo di pan pepato e dell'attesa, perché in fondo il Natale non è altro che un anelito nostalgico di qualcosa che vorremmo vivere e rivivere, senza dare il permesso al tempo di cambiare la vita, cambiarci gli occhi e soprattutto il cuore.

Felice 2016 a chi ha bisogno di un augurio, di un po' di coraggio, di un po' di luce e soprattutto speranza.


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