giovedì 18 agosto 2016

Delle quattro del mattino




Forse, già che ci sono, dovrei aspettare l'alba ormai.

Forse dovrei leggere. Forse potrei ricamare. Forse dovrei tornare a letto, buona buona. Forse potrei guardare un film. Forse potrei smettere di tifare gli azzurri della pallavolo, visto che finalmente - dopo in quarto d'ora di tv che va a vuoto - mi sono accorta che è l'Argentina a giocare.

Forse dovrei smettere sistematicamente di: ricordare, ripensare, rivivere, riprovare, risentire. Forse perché sono stufa e forse anche scoglionata.

Forse inizio a sentire le urgenze e le scadenze di Settembre incombere. Forse mi impressiona l'incertezza di quello che sembra non saper cambiare. Forse sono soltanto troppo nervosa. Forse è colpa dell'incompiutezza. Forse è per via del tempo che trascorre un po' come diavolo gli pare.

Forse dovrei iniziare a scrollarmi di dosso le sensazioni malsane che alcune circostanze e alcune persone mi impongono. Forse dovrei seguire le indicazioni di Ryanair e prenotare un volo a caso a otto euro,  e poi forse si vedrà.

Forse non puzzo di fallimento come invece temo ogni volta che annuso all'interno della maglietta della mia coscienza. Forse sono sulla strada giusta, ma forse è come una di quelle cazzo di salite di montagna che sembrano non finire mai.

Forse io amplifico esponenzialmente anche il più piccolo degli stimoli e le reazioni che ne scaturiscono sono esplosioni atomiche.

Forse dovrei solo accettare che non si possa dimenticare tutta quella cattiveria dalla sera alla mattina. Forse non posso perdonare che tutto quell'accanimento - per l'ennesima volta - sia rimasto impunito.

Forse, a scrivere con sto telefono, mi sta tornando il sonno. Forse mi verrà su il latte. Forse ci vuole troppo tempo prima che sorga il sole. Forse vorrei che tutto fosse innocuo come ogni tanto sembra che lo sia qui.

Forse sono tutti i forse del rancore e del dispiacere ad avere la meglio. Forse sono quelli dell'ineluttabilità e della frustrazione. Forse sono quelli della delusione. Forse è lo sdegno più incredulo l'ennesimo nemico da combattere.


mercoledì 17 agosto 2016

Del piccolo esploratore

Io lo so che tu vuoi scoprire, esplorare e conoscere, ma non sei un cagnino furbetto. Non sei ancora sgamato. Non sei un montagnino che conosce i pericoli delle strade e ancor di più la cattiveria di alcune persone.

Io e te siamo bestiole da appartamento e le nostre strade non sono mai abbastanza sicure per camminarci in mezzo spensierati.

Corri con le zampine aperte, zampine da cucciolo pieno di entusiasmo. Corri con le zampette da ragazzino pieno di vita e ti allontani, ti fai chiamare fino allo sfinimento e in paese mi sa che ti conoscono tutti ormai. E conoscono pure me che ero riuscita a salutare solo 5 o 6 persone in quasi dieci anni che abbiamo la casa qui.

Inizi a conoscere i cagnetti dietro ai cancelli e irrompi come uno scellerato nei giardini, nei cortili e nelle case. Ma qui una pedata te la rifilano senza indugi. E io non voglio finire nei guai per aver pestato come l'uva chi ha anche solo accennato a darti una lezione.



Io cerco di non darlo a vedere, ma ho il cuore che mi esplode ad ogni macchina, ad ogni moto, ad ogni bici che ti sfreccia accanto. Pensa che inizio persino a pregare quando la tua sagomina nera diventa un puntino lontano.

Ma tu te ne freghi, perché la libertà inebria di incoscienza. E tu sei ubriaco di salite, pietre, prati e aria fresca.
Sei fradicio di vita ed esuberanza.
Sei pieno della gioia che infondono le avventure.
Sei affamato di movimento e spazio.
Sei folle di passione e insegui ogni singola traccia in cui puoi imbatterti con ostinazione.

Adesso dormi vicino a me, e ad ogni sogno che ti agita io ti posso accarezzare, rasserenare, convincere che non c'è nulla che non vada.

È che vorrei proteggerti sempre, ma non me la sento di snaturarti e costringerti in catene fatte di strisce di stoffa.

Almeno cerca di ricordarti che sei il mio primo ed unico cane. Ricordati che io sto imparando con te come funziona il tuo mondo e come funzioni tu.

Lo vedo da me che questa salopette mi sta proprio male, ma privarmi di questo ricordo per un pezzo di stoffa che mi fa sembrare un insaccato, significherebbe sminuire e insultare un istante fermato in modo prezioso. Un attimo rubato ad una giornata intensa e un po' affannosa.

Stasera prendo a calci l'insicurezza e il mio vizio malsano di sminuirmi, quindi, caro straccetto blu scuro preso da Primark, non tornerai a casa con me e condividerò lo stesso uno degli innumerevoli attimi di felicità che mi regala il mio Bastardino Delinquente.

E tu, Maledetto Puzzoletto, se non impari a tornare quando ti chiamo, te lo scordi di tornare in vacanza con me.

Insieme, da soli.

Quanta solitudine abbiamo affrontato insieme. Adesso è ora di guarire: nei boschi, nei prati, tra gli sconosciuti.

Insieme, da soli.

Come abbiamo fatto dal primo giorno di vita condivisa, quando allontanandoti dal tuo cuscino sei venuto sul divano a scegliermi e a dormire al sicuro tra le mie braccia.

Io non ti abbandono.
Tu non lasciarmi però.

domenica 14 agosto 2016

Della sera del 12 Agosto

Nel paesino dove abbiamo la casa c'è una chiesetta, e lì accanto c'è una piazza con le sue panchine e la sua fontana. Ma non c'è nemmeno un baretto, un circolino, insomma, non c'è niente se non il rumore dell'acqua e l'abbaiare dei cani in lontananza. E la piazza è sempre vuota, persino la domenica quando c'è la messa. Perché tutti di lì passano,  ma nessuno si prende il lusso di fermarsi.
Nelle strade di montagna i gatti se ne fottono di chi si fa gli sparoni in auto, in moto, in bici, in trattore o in camion e si piazzano in mezzo alle carreggiate, sdraiati come se fossero su un divano.
Nel cielo di stasera le nuvole sono lunghe, piatte, stirate. Sembrano sciarpe logore, ma anche ciabatte sfondate.
Ho litigato con Bloody oggi.
E mi sento triste.
E anche frustrata.
Mi sono seduta al buio del nulla della piazza, e mi sono messa di buzzo buono a guardare il niente, a respirare i moscerini e ad insistere nell'inumidirmi le labbra seccate dal sole e dal vento.
Mentre facevo la poetessa dei poveri, hanno iniziato a suonare le campane ed è un miracolo che non sia morta di infarto.
Mi aspetta una salita ripida e avere un cane che tira - più di un pelo di non si può dire cosa - mi farà comodo.
Da qui le stelle sembrano più vicine e limpide, perché non c'è molta luce ad imbrattarle. Ma io non credo più ai desideri riposti nell'incandescenza che fa mettere i nasi all'insù. Non credo nei baci dati sotto al vischio, alle mutande rosse del veglione, alle candeline da soffiare in una volta sola, al tre d'amore, al sale e l'olio che portano disgrazie non credo e nemmeno più al topolino dei denti.
Credo negli occhi stanchi e nei fazzoletti stropicciati tenuti in tasca, che non si sa mai. Credo che il male vinca sempre sul bene e credo che quando pensi di aver toccato il fondo è lì che l'inferno appare per davvero e inizia il puttanaio.
Credo nelle promesse tradite e nei sorrisi di circostanza.
Credo nel sadismo e nei vetri rotti.
Però credo ancora nella mia torta di mele e in quel cazzone del mio cane. Credo in quello che canto mentre ascolto la musica che ho in macchina. E credo nei budini. E nei capillari rotti. E nei coglioni girati. E nelle bestemmie che nascono dal cuore e che si fermano tra i denti.

Degli incontri casuali

Prendo la macchina e chiedo a Bloodino di accompagnarmi nei boschi. Tra tutti gli imbranati della Terra io sono da medaglia d'oro.  In piano ho sempre le scarpe da trekking, nei boschi e in salita le Vans Old Skool.
Camminiamo lungo un percorso vita tenuto così bene da farcela rischiare almeno un paio di volte, la vita intendo.
Ma con le scarpinate ci stiamo prendendo gusto e il mio cagnino è stupendo quando esplora felice e sicuro di sé.

Abbiamo trascorso un'ora di saliscendi tra rovi, foglie secche, frustate di rami e pietre sulle quali giocarsi le caviglie. Entrambe. Contemporaneamente.

Scendiamo, riprendiamo il sentiero che porta alla macchina, mi ricordo del cartello che segnala una strada chiusa, senza protezioni. Chissà dove mi porta. Le gambe non sono ancora abbastanza stanche. Ricominciamo a salire.

Duecento metri e trovo soltanto una casa, una donna che guarda i fiori, due cagnini che abbaiano. Meglio filarsela. I valtellinesi non hanno proprio dei bei modi. Spiego alla donna, un'anziana coi capelli tinti da poco del nero "toglimi dieci anni se puoi", che mi trovavo lì per caso e che cercavo una via diversa dalle solite per lasciare il cane libero di correre.

Iniziamo a parlare. Ha una casa bellissima, una villa come quelle che costruiva il marito in Svizzera, una di quelle coi balconi in legno con le incisioni decorative, una di quelle con le tendine inamidate, i mobili rustici e le foto senza polvere.

Mi racconta la sua vita con dignità e contegno dei montanari, ma senza quella diffidenza maliziosa di chi vuole farti fesso. Sembra molto sola.  E stanca. Ma è  ospitale.

- Tu hai studiato perché parli bene
- Ti voglio dare la ricetta del risotto con le zucchine. E tu ce l'hai una bella ricetta col basilico?
- La vita è un destino che non puoi comandare. Io certe cose me le sogno e poi si avverano.
- Ma poi torni a trovarmi la prossima volta che passi di qui?

La ricetta di una pasta con base di pesto, melanzane, pomodorini e pecorino ce l'avevo. E lei se l'è voluta scrivere. Annotava piano, perché la compagnia che ti regala una sconosciuta che ha tempo a sufficienza per sentire accenni di una vita di felicità e tragedie, mica la si può avere ogni giorno.

E mentre era intenta a segnare nero su bianco i passaggi, gli ingredienti e le dosi, io sentivo già il bisogno di raccontare della Signora Elena - che lavorava nella trattoria Milvia per andare a Morbegno - mi son detta "O le faccio una foto o mi prenderanno per la cazzara in vena di condividere balle".

Mi ha lasciata con parole che mi hanno fatta riflettere, ma anche sorridere. Le lascio qui, perché non le voglio dimenticare:

- Vedi come sei fortunata? Non sei sposata e non hai figli. Puoi costruire tutto da zero.
- Stai con gli amici, viaggia, prenditi cura di te. Non uscire con chi capita, non andare a ballare. Perché il destino arriva sempre e solo quando vuole lui. E se uno ti vuole bene. Lui ti trova.

Ho sgranato gli occhi, un po' in soggezione, forse anche un po' desiderosa di dare credito a quello che mi diceva e ho sorriso.

Mi sono sentita dire che ero bella e che sembravo brava e buona. Chissà se mi si legge in faccia anche quanto sia scema. E quanto male faccia ancora ricordare.

Le ho promesso di portarle un pezzo di torta e di tornare a trovarla. E voglio essere di parola.

mercoledì 10 agosto 2016

Di chi non pagherà mai.


Medical Surity:
You Can Get PTSD From Staying In An Emotionally Abusive Relationship

Stop. Just stop asking why a woman is so stupid and so weak when she stays in an abusive relationship. There’s no answer you can possibly understand.

Your judgment only further shames abused women. It shames women like me.

There was no punch on the very first date with my ex. That’s not normally how abusive marriages start. In fact, my first date was probably pretty similar to yours: he was charming, he paid attention to me, and he flattered me.

Of course, the red flags were there in the beginning of my relationship. But I was naïve, probably much like you were in the beginning of your relationship.

Except my relationship took a different turn than yours.

An abusive relationship takes time to build. It’s slow and methodical and incessant, much like a dripping kitchen faucet.

It begins like a little drip you don’t even notice — an off-hand remark that is “just a joke.” I’m told I’m too sensitive and the remark was no big deal. It seems so small and insignificant at the time. I probably am a little too sensitive.

I occasionally notice the drip but it’s no big deal. A public joke made at my expense is just my partner being the usual life of the party. When he asks if I’m wearing this dress out or whom I’m going with, it only means he loves me and cares about me.

When he tells me he doesn’t like my new friend, I agree. Yes, I can see where she can be bossy. My husband is more important than a friend, so I pull away and don’t continue the friendship.

The drip is getting annoying, but you don’t sell your house over a leaky faucet.

When a playful push was a little more than playful, I tell myself he didn’t really mean it.

He forgets he’s stronger than me. When I confront him in yet another lie he’s told, he tells me I’m crazy for not believing him. Maybe I’m crazy … I’m beginning to feel a little crazy.

I begin to compensate for the drips in my relationship. I’ll be better. I’ll be a better wife. I’ll make sure the house is clean and dinner is always prepared. And when he doesn’t even come home for dinner, I’ll keep it wrapped and warmed in the oven for him.

On a night I’m feeling feisty, I feed his dinner to the dog before he comes home. I’m not feeling quite as smug well after midnight when he does show up. I quickly get out of bed and go to the kitchen as he yells at me to make him dinner.

Waking me from sleep becomes a regular occurrence. I no longer allow myself deep, restful sleep. I’m always listening and waiting.

The drip is flowing pretty strong now. I’m afraid to put a bucket under it and see how much water I’m really losing. Denial is setting in.

If I hadn’t said what I did, he wouldn’t have gotten so mad. It’s my fault; I need to just keep quiet. I should know better than to confront him when he’s been drinking.

He’s right — I really am an ungrateful bitch. He goes to work every day so I can stay home. Of course he needs time to himself on the way home from work each day.

On the rare occasion I do meet with my friends, I rush to be home before him. I never ask. I mustn’t inconvenience him.

We attempted counseling. Although neither of us was totally honest about why we were there, the counselor was open with us about their concerns.

I’m working so hard to be the perfect woman and have the perfect family that I don’t take the time to notice there’s water spilling on to the floor.

I know what will make this better. I’ll get really active outside the home but of course, I’ll still take care of everything in the home and never burden him. And I’ll never dare ask for help.

I work very hard to present the front of a perfectly happy family.

I’ve begun to drop subtle hints to the other people but when they confront me I adamantly deny it. No, everything is great, I insist. I point to all the happy family photos I post to Facebook as evidence.

I’m not sure which scares me more: the fear that others will find out my secret, or that he will find out I told the truth about our us. I realize I’m now afraid of him.

And then one day, I wake up and realize the house is flooding. My head bobs under the water. I’m scared.

Oh dear God, what have I done? How did we get here? Who have I become?

I want to leave.

Where would I possibly go? And if I do go somewhere, what will I do? How will I afford living on my own?

He’s right — I have no skills to survive on my own.

“What, you want to leave and go whore around?” he yells to me. “I always knew you were a slut.”

He’s a master at deflection. His actions are no longer the focus; I’m the one on trial now.

I’m no longer the woman I was on our first date. I’ve become timid and weak in front of him. I feel defeated. I chose this man. It’s my fault.

With every breath I take, it’s my duty to keep the dog safe and keep my life together. It’s the only life I’ve known for the last two years.At this point, I don’t know how to do anything else.

I stay.

The flood continues. My head bobs under a second time.

On a typical anger-filled evening, I say enough is enough and I decide to fight back. But even in his stumbling drunken stupor, he’s stronger than I am.

I see the look in his eye as he hovers over me.

“Go ahead and leave,” he sneers to me. “But the dog stays here.”

My retreat that night is all it takes to turn the faucet on all the way and force me to tread water, if not for my life, then at the very least for my sanity.

Despite my best attempts, my secret has been exposed. I can’t just up and leave like well-meaning friends tell me to. It’s not that easy.

I’m one of the lucky ones. I’m no longer in that relationship, yet my scars run deep.

Abuse doesn’t always manifest as a black eye or a bloody wound. The effects of psychological abuse are just as damaging.

I stayed for the sake of my love and dreams. Now, I blame myself for the effects staying may possibly have on me.

Why did I stay? I stayed because I was isolated; I was sleep deprived; I was told and I believed I was worthless; I was worn down from constantly being on guard for the next attack.

I stayed because I was more afraid to leave.


Source: http://www.yourtango.com/2015276377/you-can-get-PTSD-from-psychologically-abusive-relationships