lunedì 21 novembre 2016

Del farcela, del pigiama zebrato


È da sabato mattina che ho in mente questo post, ma di solito succede così: prima penso ad una frase, una bella frase eh, una di quelle da centomila milioni di condivisioni, applausi, premio Pulitzer e posto fisso con tredicesima e ferie pagate. Una frase che da sola diventa un best seller. Poi me la dimentico. E - di conseguenza - poi mi dimentico anche del post della vita, che un po' come tutto il resto, mi passa di mente e buonanotte ai suonatori.

Nel corso degli ultimi giorni mi sono imbattuta in circostanze che mi hanno coinvolta emotivamente e mi hanno portata a riflettere. E poi a singhiozzare sotto la doccia, a scuotere la testa cercando di scacciare la nostalgia e - in particolare - scagliare via la distorsione della realtà nella cui pratica il mio cervello bacato non ha rivali. Fortunatamente, non sono sola perchè l'asse Solaro - Siziano è indomito nel supportarmi e ancor di più nel sopportarmi, ma io ho anche Padre Mauri ad incoraggiarmi. Succede così che la solitudine diventi un privilegio che scelgo di concedermi per riposare o per riprendere fiato.


Mi sono ritrovata a pensare a me stessa come ad una donna sempre più forte, sempre più consapevole, sempre più disincantata e persino sempre più selettiva.
Che spettacolo!
- Ma come... proprio tu , Milvina?
- Già. Proprio io, mondo caro (o mondo cano per dirla alla Faletti ai tempi d'oro).
Passeggiavo con Bloody per i campi lo scorso sabato. 

Ogni qual volta il tempo ce lo consente, ne approfittiamo sempre per sfuggire all'asfalto e ai tubi di scarico, ma anche ai convenevoli da guinzaglio. Basta che prenda la macchina, due uscite di superstrada e siamo in un mondo tanto surreale quanto rigenerante.
Avevo l'autonomia della batteria del cellulare, ormai da cambiare (perchè i Samsung allo scoccare dei due anni si autodistruggono in una manciata di giorni), agli sgoccioli. Eppure ho voluto scattare qualche foto, tra l'altro ben riuscita a detta dei seguaci su Instagram. Attraverso quelle istantanee senza pretese sono riuscita ad immortalare persino i pensieri che, insolitamente, da giorni continuano a farsi ripetere tra le tempie e continuano a rimbombare nel silenzio delle labbra serrate.



Se ce la fanno le gocce di pioggia a rimanere aggrappate ai rami, alle bacche e alle foglie, allora ce la posso fare anch'io.
Se ce la fanno i fiori nei prati a resistere al gelo, alle zampate ciniche e alle suole delle scarpe indifferenti, allora ce la posso fare anch'io. 
Se ce la fa la gambetta più corta di Bloody a correre come se nulla fosse, prendendo velocità ad ogni attrito con la terra, allora posso farlo anch'io.
Se i bambini imparano ad allacciarsi le scarpe, allora ce la posso fare anch'io.
Se non ho mai ceduto, se non ho mai ipotizzato di tornare sui miei passi, se scaccio l'amarezza a suon di hard rock, allora ce la sto facendo.
E col cazzo che mi accontento.
Ed è bellissimo potermi concedere la sfacciataggine di fissare questo traguardo, uno tra i più insperati e sostanziosi: sentire che ce la sto facendo.



In fondo, sono una tettona che canta David Coverdale e Charlie Daniels. E pure i Mountain di Leslie West. 
Sono una che sta così bene, da comprarsi pure un pigiama zebrato e fottersene della lingerie che l'età prescriverebbe propedeuticamente all'accasamento, ma è che non ho nemmanco mezzo psycho con cui sfoggiarla: perchè decido io che sia così.

Mi sa che inizio a crederci.
Mi sa che sto lavorando bene.
E chi mi ammazza?
Di certo non tu. E nemmeno tu. Figuriamoci te.

Nota: dopo non so quanti anni, mi sono arrogata il diritto di salire su un'altalena e di rimanere a far ciondolare le gambe fino a quando non mi è girata la testa e non mi è venuta la nausea.
E se si fosse rotta, per colpa del mio dolce peso, dei miei anni e della mia altezza... ecco, non sarebbe stato un problema mio.




Soundtrack of the day: Golden Earring - Radar Love
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