giovedì 19 gennaio 2017

Della cassettiera dell'Ikea



Dopo il lavoro, nel tardo pomeriggio di ieri, vagabondavo per l'Ikea di Carugate in queste condizioni: in tacchi, ben truccata, con il cappotto adagiato nell'incavo del braccio indolenzito e con un carrello da carico pesante che trasportava due bulbi, quattro ganci da appendere, un culetto di cagnino in plastica (anch'esso gancio) e due mini pupazzetti.

Un po' mi divertiva osservare la curiosità stranita di chi si imbatteva nel mio tentennare sbandante e mi guardava quasi chiedendosi: "Ma sta scema lo sa che ci sono i sacchi gialli?".

È che mi serviva una cassettiera, da poco, una senza pretese. La stessa cassettiera che mi sono rifiutata di comprare da Marzo dell'anno scorso, infliggendo nuova precarietà a quella in cui - già di mio - dovevo sguazzare. Perché comprarla avrebbe comportato una presa di coscienza e un'accettazione alle quali non potevo essere già pronta.

Poi, non so cosa sia successo in quell'ufficio a Monza, dopo la lezione del primo pomeriggio. Mi sono decisa, mi sono convinta, ma forse mi sono rassegnata.

E quella stessa rassegnazione l'ho portata a passeggio mentre rendevo omaggio al cuscino della palla numero 8 che avevamo sulla poltrona da barbiere, ai mobili sparsi per la camera, lo studio, il soggiorno con angolo cottura, il bagno, il ripostiglio e pure l'ingresso. Quella che credevo fosse casa era ovunque, ma non più in me. Non quanto temessi.

Ho deglutito amarezza e rancore, bestemmie e malaguri, "ma crepa" e "mammt" a profusione ad ogni bicchiere, utensile, candela, cestino e decorazione che conoscevo bene e di cui ricordavo esattamente la collocazione.

E poi ho pensato che quello che mi strazia non è che sia finita, anzi, ma come sia potuta andare mentre tutto sarebbe stato ancora possibile, se soltanto ci fossero stati decenza, rispetto, dignità, sobrietà e contegno.
Perché ci sono circostanze che non dovrebbero esistere nemmeno in letteratura.

Ma tant'è, ahimè.

Non scrivo per rognare, per parlare del Lupo Cattivo, scrivo perché davanti ad un ambiente con i mobili neri e gli accessori verdi e bianchi, uno di quelli che angosciano nella loro pretesa di sfoggiare un design a basso costo - buono a stento per un residence - ho capito che non ho nessuno accanto perché non voglio nessuno.
Perché non esiste odore che non mi dia il voltastomaco.
Perché non mi voglio accontentare di nuovo.
Perché non sceglierò per consolazione o bisogno, ma soltanto per volontà e slancio di felicità.
E poi perché sto bene, in fondo.
Ma sì, dai.

Ho una cassettiera da montare e una casa da trovare.
Ho il culo grosso e la pelle secca.
Sono ipocondriaca, stronza e isterica.
Ho così tanta roba che si accumula dentro e fuori dagli armadi e dalle scatole, che se mi incrociasse Marie Kondo farebbe harakiri con la gruccia in metallo della lavanderia, dopo essersi frustata con il guinzaglio stiloso di Bloodino.

Ho esorcizzato pure l'Ikea.
E chi mi ferma più?

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