giovedì 12 maggio 2016

Dei colpi bassi, del nuovo logo di Instagram


Ma è possibile che tutto venga stravolto e che tra le mie abitudini più consolidate, nemmeno una rimanga - buona buona - così come sarebbe sensato che rimanesse? Io sono impreparata nei confronti di qualsivoglia cambiamento e ogni alterazione delle consuetudini mi spiazza, infliggendomi un panico bastardo del tutto sconsiderato.
E non è cosa.

Mi tocca fare i conti con un bel periodino molliccio, fumante e marroncino, caratterizzato dall'accettazione a malincuore, dall'annuire mestamente, dal comprendere mentre un occhio mi trema dalla rabbia e una tempia mi sta per esplodere. È il tempo del mandare giù bocconi amari, del farsene una ragione alla meglio, del fingermi buddista, ayurvedica, filosofica e a modino, ma porca bestia, a me scorrono sangue e veleno in corpo e scegliere di reagire senza estremismi o panico diventa difficile. Impossibile.
Non mi riesce proprio.

Non riesco a pensare che A. stia davvero per trasferire il suo studio di tattoo. Mi mancherà profondamente la sua amicizia premurosa, la sua presenza inossidabile,la natura incondizionata del suo conforto, il suo talento che anno dopo anno ho voluto sulla mia pelle. Il nostro è un rapporto che dura da anni, e pensare che dovrà - necessariamente - vedere la fine di un ciclo, una mutazione o un nuovo corso, seppur presumibilmente più intimo e sentito, mi infligge un magone che non so ingoiare. 
E non c'è verso che mi passi.

Non riesco a vedere l'avvicinarsi dell'estate e con esso l'inevitabile gestione della riduzione drastica delle mie ore di docenza - e di conseguenza delle mie entrate - sebbene sembra che almeno le traduzioni non manchino e anche un paio di proposte nelle quali confidare.
Ma chi visse sperando morì come dice il detto, e io ho già dato.

Non riesco a non ripensare, almeno mille volte al giorno, alla rivoluzione che ho imposto alla mia esistenza da due mesi a questa parte e non mi sento ancora sufficientemente forte, sufficientemente pronta, sufficientemente coraggiosa, sufficientemente libera per iniziare a stare in modo più regolare e spensierato in mezzo al mondo, quello al di fuori della mia comfort zone - che poi è la mia stanza di sempre - il luogo che da sacrificio inevitabile scongiurato fino all'ultimo, si sta rivelando una base sicura da dove potrei riprendere fiato e rimettere insieme i pensieri.
Prima o poi.

dramas and cookies twitter

Cosa c'entrano Instagram e il suo nuovo logo?

Ecco, l'aggiornamento di quest'oggi dell'applicazione è l'ennesimo cambiamento che mi tocca subire e contro il quale nulla posso, se non lanciare un paio di sassate via Twitter, dove altri social-addict come me, si sono sbizzarriti a ironizzare contro i nuovi colori degni della peggior Wordart di Windows 97. E su Instagram io ci abito, quindi mi sento come se mi avessero cambiato lo zerbino a mia insaputa, come se mi avessero detto guarda, da oggi il citofono di casa sarà ruvido e glitterato.

Lì condivido cagnolino e carognate, ripicche e sghignazzate, fiori e maledizioni, malinconie e rammarico, colazioni e colori nei quali inciampo, pure a malincuore. Lì ritrovo - nella vita degli altri - i miei sogni irranciditi eppure non ancora da buttare, i desideri scagliati a terra e frantumati come bicchieri e poi amici, conoscenti e sconosciuti di mezzo globo, anzi no: del globo intero. Lì imparo ricette e scopro tendenze, sogno di visitare posti che non sapevo esistessero e scambio istantanee in cambio di compagnia, conforto, partecipazione. Lì mi accorgo della natura selettiva dei miei gusti, della continuità delle mie aspettative e della testardaggine delle mie aspirazioni, e il tutto nonostante un medioevo personale auto-inflitto, auto-prodotto e auto-finanziato.

E quindi no, un Instagram vestito da glamster o gay pride non mi va, un arcobaleno cui mancano il verde e un bel pezzo di blu non lo voglio. E non voglio l'ennesimo cambiamento che non serve ad altro che a disorientarmi. Rivoglio quella macchina fotografica retrò. Voglio il logo cui ero affezionata. Voglio quel che era e che filava liscio come l'olio.
E non dava fastidio a niente e a nessuno.

Perché io di colpi bassi mica posso schivarne ogni singolo giorno.
Perché se un meccanismo funziona non andrebbe stravolto per capriccio.
Perché se ci affeziona a qualcosa sarebbe opportuno che questo qualcosa non venisse snaturato senza remore, senza vergogna, senza possibilità di essere interpellati.
Perché io sto buona e zitta, ma sto facendo una fatica colossale ad andare avanti in questo periodo della mia esistenza che si ostina a usarmi come cavia, che si accanisce quasi fossi fatta di pongo e che allora mi schiaccia, che ce la mette tutta ad inaridirmi.

E, in effetti, un bel po' mi sento rinsecchita. 
Lì, nel cuore. 
Dentro agli occhi. 
Sulle labbra. 
Nelle mani.

Nessun commento:

Posta un commento