martedì 1 settembre 2015

Di quello che scrivevo oggi, ma un anno fa

1 Settembre 2014.

Ha riaperto la farmacia vicino alla banca e ha riaperto il bar nel quale il panettiere con il bulldog consegna le brioche in zoccoli da infermiere; notizie pressoché inutili, se non per il fatto che la rimozione del cartello che annunciava la fine delle loro ferie, avvicina un po' più concretamente l'inizio solenne e sfacciato delle nostre.

Ho sbrigato delle commissioni noiose, quelle che ti fanno strisciare i piedi sull'asfalto a scarpe allacciate in malo modo, quelle per le quali non occorre nemmeno truccarsi il grugno o togliersi il broncio. Ho camminato velocemente, infastidita dal sole ringhioso che non sa intiepidire nessun passaggio ombreggiato e da quei gridi di luce inattesa, che esplodono come spaventi messi in atto da dietro le spalle.

Ho letto i vostri status malinconici sulla fine delle vacanze e sul ripristino della normalità. Noi dobbiamo stringere i denti ancora un po', accogliere un amico che sarà ospite qualche giorno, preparare i bagagli e poi partire per la nostra prima avventura insieme. E io non vedo l'ora, sebbene nel tempo scandito dall'attesa ve la invidi quella routine sempre uguale a se stessa eppure dotata di continuità della quale un po' soffrite e vi lagnate, della quale io non conosco quasi nulla, se non il rimpianto di volerne qualche manciata. Perché io voglio un po' tutto.

E sbadiglio. E mi gratto la fronte cui la frangia spettinata fa il solletico. E esito domandandomi "ma avrò la febbre oppure sono solo stremata? È malinconia o mi brontola la panza?".

E poi una foto volutamente sfuocata. Un istante saturato di consolazione. Il bambino del quale non si sa il nome che guarda la moto di M. e rimane senza parole: estasiato. Lui che la notte ti fa gelare il sangue con le sue grida. Lui che cerca l'attenzione di sua mamma con un disegno in mano, chiamandola ossessivamente, senza sosta, da lontano, come se avvicinandosi, varcasse quel confine delirante che solo per sbaglio - di tanto in tanto - si può oltrepassare senza correre alcun rischio. Lui che infastidisce per i suoi modi da teppistello. Lui che irrita con la sua prepotenza da una manciata di chili. Lui che ha a che fare con gentaglia e vecchi rumorosi. Lui che consuma la piazzetta davanti casa con le sue corse, salti e attese. Lui che con quella canotta e pantaloncini coordinati ti strappa prima il cuore e poi ti attorciglia lo stomaco come uno straccio per i pavimenti. Lui che meriterebbe una vita normale, notti tranquille, cose buone: persone buone. Lui del quale parliamo prima di addormentarci a tarda notte, facendolo entrare per la prima volta senza frustrazione in camera nostra.
E mentre, tutto incuriosito e frastornato, scopre che le moto di M. sono due e sono una più spaziale dell'altra, io lo guardo dallo studio, sorrido al suo addentare un panino vuoto, mi soffermo sul sorriso che ha strappato al mio amore e penso che, tra le cose più belle e pure che possa fare una motocicletta, una sia proprio far fantasticare gli occhietti increduli di un bambino e far sbocciare in noi la più tenera forma di indulgenza.

E ora che sbraita e dice parolacce, ora che rimbomba fin nel mio bicchiere d'acqua, sbuffo e penso "gli tirerei un pomodoro". E forse ne ho uno in frigorifero. Ma ho anche della torta al cioccolato. E una casa che profuma di cose buone e di una famiglia appena nata.

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