mercoledì 2 settembre 2015

Della mia Erika, del suo bambino

Facebook mi rimprovera e mi dice che non pubblico niente da otto giorni sulla pagina di Dramas and Cookies. Ha ragione, ma lo so da me che è da troppo che non posto alcunché, lo so da sola che forse è il caso che io ricominci a raccontare e condividere, non fosse altro che per non perdere il sano vizio di scrivere. Ho una ricetta e qualcosa da dire, e per una volta separerò le due cose, affinché sentimenti e ingredienti non si perdano l'uno nell'altro, confondendo i miei tre lettori più fedeli tra zucchine, zenzero, salsa di soia, lamenti, mugugni e nostalgia.

Sono silenziosa in questi giorni, chiusa in una perplessità che non mi abbandona mai, ferita dalla staticità, affranta dall'assenza, gravata dai sospiri attraverso i quali cerco di togliermi dai polmoni l'angoscia, addolorata dalle constatazioni che non hanno nulla di amichevole.
Sono preoccupata e non mi piace che lo streben mi mangi viva, che non se ne vada nemmeno a spallate, culate e calci, che non si allontani nemmeno la sera quando ci ritroviamo, nemmeno nell'abbandono al sonno. Ma così è, se mi sveglio di soprassalto mi ritrovo accanto un cagnolino che dorme sul tappeto del mio lato del letto, un cagnolino che mi difenderebbe dal peggiore degli incubi, dal più pericoloso dei mostri, il cagnolino che leccherebbe il muso al demonio e accoglierebbe a suon di feste in casa un ladro, ma nessuno è migliore di lui e non lo cambierei per niente al mondo.

Ieri la giornata si è aperta con una sorpresa inattesa, qualcosa di cui avevo un estremo bisogno. Uno scambio di messaggi improvvisati ed eccomi  a mezzogiorno davanti al Rock on the Road di Desio a riabbracciare Erika dopo mesi dal nostro ultimo caffè, avvenuto in un momento drammatico della mia esistenza: di certo il peggiore dei Natali di tutta la mia vita.

Lei è una delle mie amiche più care e preziose, conosciuta per amore dei conigli, resa affine dalla passione comune per ago e inchiostro, compagna di confidenze, avventure e amici; lei è Amica per scelta e volontà reciproca e non per convenienza, interesse o circostanza. Che bella che è con il suo sorriso grande, che belli i suoi capelli lunghi e scurissimi. Bloody le salta addosso come se la conoscesse da sempre, io sorrido e guardo il suo scricciolo che dorme sul seggiolino del sedile posteriore: e mi ritrovo a perdermi nel musetto sorridente del suo bimbo bellissimo, un bikerino di due anni allegro e buono.
E poi c'è Ypsel, formalmente Pixel, un cagnino che ha sfidato con audacia gli scalini irregolari delle due rampe che portano a casa, batuffolo fragile e morbido che pian pianino potrebbe anche legare con il Mostro delle Paludi tutto nero di casa, il piccolo Mortaretto che ci faceva ridere a crepapelle con le sue corse nei giardini dietro casa dei miei genitori.


Tortello

Mi sono sentita una cretina mentre preparavo il pranzo e la tavola dimenticandomi persino acqua e posate, fuori tempo, fuori dal mondo vero, il mondo degli altri, quello scandito da delle tappe che non possono essere procrastinate ad oltranza, quello dei guadagni, dei doveri, delle esazioni e degli impegni. L'ho osservata, studiandola quasi, nel suo essere così paziente, così premurosa, così ferma eppure adorabilmente affettuosa: la mia compagna di serate a base di thè, carezze ai suoi cuccioli a quattro zampe e fiumi di parole è una donna incredibile che sa essere spontaneamente, genuinamente una brava mamma.

Il tempo è crudele e spietato, trascorre troppo in fretta senza curarsi del nostro bisogno di dire e continuare a dire e dopo una pasta all'orientale, dell'insalata, qualche foto e un caffè è ora di salutarla. Mi stringe lo stomaco rendermi conto di quanto abitino lontane le persone cui tengo di più, a quanto sia fondamentale il telefono per non perderci, a quanto sia riconoscente  nei confronti dei social media per poterle vedere ogni volta  che ne ho bisogno.

E' ora dei saluti, della promessa di rivederci presto, prima che trascorrano altri mesi, ma stavolta per davvero. E' un arrivederci intriso del rimpianto di non potersi concedere una saluto ogni volta che servirebbe farlo, m a è un saluto sorridente, sincero.

E' ora di fare un giro di guinzaglio attorno alla mano e di convincere Bodibò a venire via. E' ora di ripensare ai vicini di casa che se ne vanno e che non sono riusciti a vendere la casa nemmeno dopo due anni di attesa. E' ora di abbassare lo sguardo quando passo davanti al bar di delinquenti e balordi, accelerando il passo, just in case. E' ora di sentire il colpo secco e violento del portone richiudersi alle mie spalle. E' ora di sperare che la russa muoia soffocata dalle sue stesse grida contro i suoi figli, contro quella sottospecie di uomo che ha in casa, contro chiunque la incroci nel momento sbagliato. E' ora di aggrottare l'espressione all'ennesima canzone sudamericana a volume Slayer ascoltata dalle bambine al pian terreno, E' ora di rientrare a casa, un nido che stupisce chiunque ci entri, un luogo che ho sentito fin troppo spesso estraneo, ma che adesso esprime indiscutibilmente anche molto del buono che c'è in me.

Prendo a morsi grandi una pesca tabacchiera, è troppo matura e rischio una doccia appiccicosa e dolciastra. Mi condanno anche ad una banana quasi da buttare. Come sono belle le sorprese, com'è bello ritornare ad essere per qualche ora ciò che dimentico di saper essere.


Ypselino, Pixel, Mortaretto


Song of the Day: Susan Tedeschi - Don't Think Twice, It's Alright

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